Arturo Oreste Bucci

PICCOLO DIZIONARIO DIALETTALE

Non sono poche le parole che ho dovuto eliminare dalla presente raccolta ; sia quelle appartenenti al dia­ letto napoletano, quali ad esempio : ammujne , ammuscià, guaglione, guappe, lazzarone, nquacchià, scialà, sfrucuIejà, ecc. ( motivo  di  tale  comunanza  si  deve  ai  secolari ed intimi rapporti di amicizia della nostra città  con Napoli, per cui non è azzardato chiedersi chi sia  stata  la prima ad introdurne  l'uso) ;  come  pure  molte  indigene che fanno  parte  della lingua italiana.
  Omissioni ce ne saranno, ma sono certo che il lettore le giustificherà, considerando le difficoltà del lavoro, compiuto senza alcuna collaborazione, affidato, unicamente, alla memoria, che, ringraziando il Cielo, non mi abbandona, ed il tempo, relativamente  breve, impostomi.
  Alla raccolta dei vocaboli ho creduto utile - anche per favorire gli studiosi di etimologia - aggiungere un elenco di proverbi e modi di dire, che, in maggioranza, non ascolto più, nemmeno dai popolani.

* * *
  Come per le pubblicazioni precedenti di « Vecchia Foggia », anche per la presente, la spesa è stata sostenuta interamente da me, senza il minimo contributo di Enti - ai quali, nemmeno mi sono rivolto - come « qualche spirito maligno » inconsideratamente, ha supposto.
Foggia, ottobre 1964
A. ORESTE  BUCCI

  Con questo lavoro, quarto in ordine di pubblicazione ma primo, in verità, per concepimento, Arturo Oreste Bucci completa quella « panoramica » che, con tanta vivezza di colore e calore e tanto realismo, è riuscito  a darci  di una  Foggia  che ormai non  c'é più.
 Un materiale aneddotico, storico, letterario - riferito ad una età felice della nostra città - che sarebbe andato irrimediabilmente perduto, senza la meritoria opera del Bucci, con la quale ha brillantemente saputo raccontarci, con lo stile rapido, incisivo e facile del giornalista nato, pagine marginali ma non per questo meno importanti della vita cittadina di questi ultimi sessant'anni.
  Bisogna  leggerli  uno  dopo  l'altro  i  quattro  volumi (è augurabile possano essere raccolti in uno solo) della collana « Vecchia Foggia », per rivivere attraverso la nitidezza del racconto tutto quel  folclore  paesano  che due  successive  guerre  hanno  sbriciolato  nel  nulla .
 Arturo Oreste Bucci, da figlio innamorato della sua terra ha così voluto fare un regalo, che deve definirsi prezioso, alla sua Foggia. Per questo avvisa egli stesso, senza falsa modestia , di non aver avuto un editore - e come poteva essere diversamente coi tempi che corrono ! - pagando di proprio la stampa dei quattro volumi.
  E'  proprio un regalo, dunque, di  cui tutti dobbiamo  essergli  grati !

ATTILIO TIBOLLO

DIZIONARIO

A

Abbesuogne: bisogno. 
Abbijà: avviare.
Abbottapezziente: cibi grossolani per gente povera. 
Abbufenate: grano danneggiato dal bufone.
Abbunate: persona mite.
Abbusche: guadagno, utile; minaccia di bastonate. 
Abbuttà: gonfiare.
Abbuttamiente: tenere il broncio.
Abbuttate: di cattivo umore; gonfio di cibo o per malattia. 
Accattà: comperare.
Acce: sedano.
Acchià: cercare un oggetto; trovare. 
Acciaccà: calpestare, gualcire.
Accise: ucciso. 
Acciuccà: ubriacare.
Acciungà: ordinare di stare fermo e non andare in giro dando fastidio alle persone; sedere; rendere storpio.
Accocchiate: accoppiati, uniti. 
Accocchie (nen'c): non ragiona. 
Accredentate: fidanzati.
Accucculate: inchinato.
Accunciate: aggiustato; « s'ave accunciate na pelle », si riferisce a chi si è sborniato.
Accuoste: a fianco, vicino.
Accuovete: raccolto. 
Accurcevele: persona gentile che si presta a favori.
Acqua (triacale): varie sostanze dolci e aromatiche allungate nell'acqua e spacciate per medicinale.
Acqua chiochiere: vino annacquato; bevanda medicinale diluita senza sapore, nè efficacia.
Acquaquagghià: arrivare a combinare qualche cosa. 
Acquare: brina.
Acquarule: acquaiuolo; attingeva l'acqua dal pozzo di sua proprietà o tenuto in fitto e a mezzo di barili,    
posti su lunghi carretti trainati da asini, la recava a domicilio v. « mantegne ».
Acquasale: fette di pane raffermo bagnate in acqua e condite con olio, sale, pepe, aglio, origano.
Adaccià: tritare; pestare con la mezzaluna il lardo e le verdure per il ragù.
Addà: voce del verbo andare. 
Addebbelisce: indebolisce.
Addemurà: ritardare. 
Addò: dove.
Addunà: accorgersi. 
Aducchià: scorgere, vedere.
Affavugnate: prodotti, preferibilmente, dei campi colpiti da ventate calde di favonio.
Affucà: affogare.
Aggementà: cimentare, provocare, insultare. 
Agghiazzà: accucciare.
Agghie: aglio; voce del verbo avere.
Agghietielle: aglio tenero; detto in segno di scherno a persona dal volto scarno e pallido.
Agurìe: dee protettrici della casa. 
Aine: agnello.
Alangeche: ( suje, tuje ) tenue rimprovero; meraviglia.
Allancate: affamato, avido di tutto, mai sazio.
 Alleccà: leccare.
Allerge: innalzare, issare; preparare i « castelli » per il giuoco con le mandorle.
Allesciate: lisciate, piallate.
Allesse: castagne lessate con la buccia. 
Allupate: insaziabile, famelico come il lupo. 
Ambrieste: prestito.
Amenele mullesche: mandorle fresche. 
Amenele: mandorle secche.
Amente: menta.
Americule: more.
Ammanecate: bastone tenuto per il manico.
Ammartenate: popolano che si atteggia a gagà. 
Ammaschiate: faccia accalorata.
Ammasunà: invito alle bestie di andare a dormire v. « agghiazzà, masone ».
Ammatte (la gocce ): temere di essere colpito da trombosi.
Ammatte lu male: prendere grande spavento. 
Ammedià: invidiare.
Ammendà: inventare bugie. 
Ammolafurce: arrotino.
Ammuccià: nascondere.
Ammucciacone: gioco della strada per ragazzi. 
Ammujenate: rattristato, pensieroso.
Anè: espressione di meraviglia. 
Aneme de Die: bambino.
Angappà: acchiappare, afferrare a volo. 
Anghianà: salire le scale.
Anghiute: riempito.
Annarule: contadino di masseria ingaggiato per un anno.
Annecchie: vitello. 
Annettà: pulire.
Annoglie: intestino di maiale. 
Annuselà: ascoltare nascosto.
Anteniere: caporale dei mietitori v. « paranze ». 
Anzaccà: insaccare; inchiodare.
Appenzunà: sporgere il tergo.
Appeselate: dormiveglia; poggiato leggermente. 
Appezzecuse: attaccaticcio.
Appiccià: accendere.
Appicciafuoche: fomentatore di dissidi.
Apprettate: quando le scarpe sono strette e fanno male nel camminare.
Ardiche: ortica.
Arie: aia; tutto il complesso delle masserie durante il periodo della raccolta dei cereali.
Arighene: origano.
Arracanà: fidarsi appena di stare in piedi.
Arraganate: carne o altri cibi al forno; pesci al « grattè ». 
Arraggià: arrabbare.
Arrapate: affamato, ingordo. 
Arrappate: sgualcito.
Arravugghià: avvolgere.
Arregnunate: arricchito; rimpinzato.
Arrennute: arreso; staìncato, non più in forza per sostenere una gara.
Arrepezzà: rattoppare la biancheria. 
Arresenate: magro, settimino, v. « arresine ». 
Arresine: malattia delle piante di cereali.
Arretrà: ritirarsi. 
Arrubbà: rubare.
Arte de mazze: guardiano di armenti. 
Arteteche: irrequietezza dei ragazzi.
Aruchele: erba aromatica per minestra.
Arusce: carbone vegetale in minuti pezzi per riscaldamento. 
Arze: bruciato; « fiete d'arze » v. « fiete ».
Arzichele: piccolo perno di ferro che fissa la ruota all'asse del traino.
Ascinne: invito a scendere. 
Asciucabocche: tarallini fatti in casa. 
Asseccà: seccare.
Assemegghià: rassomigliare. 
Assugghie: lesina del calzolaio.
Atrigne: frutto selvatico venduto dalle « tarrazzane » alla pari delle more durante i pomeriggi estivi v. « controra », « fiore de cavete ».
Attaccate: inchiodate, incollate.
Attassate: interdetto, meravigliato; il pane quando non è bene lievitato.
Ausielle: covone, piccola bica di grano in attesa della trebbiatura. 
Avecielle: uccello.
Avete: alto; altre persone.
Avutare du fume: il piano « altare » davanti l'apertura degli antichi nostri forni alimentati con la paglia.
Avutine: vento di levante.
Avuzze: arbusto selvatico non più in uso come combustibile v. « fuffele ».
Azzarà: arrotare arnesi agrari. 
Azzarute: arzillo, tutto pepe. 
Azzeccà: indovinare. '
Azzeccamure: giuoco della strada, si fa con monete metalliche o bottoni v. « cangele ».

B

Babbalià: distrarre. 
Babblone: babbeo, scemo. 
Ballature: pianerottolo.
Balle: grossissimi sacchi di iuta per spedire la lana. 
Bammine ( u ): Gesù Bambino della notte di Natale. 
Bancarielle: deschetto del calzolaio.
Banchetielle: panchetto di legno; si dice schernendo gli uomini di bassa statura.
Bannariole: banderuola.
Baone: concerto musicale; bando v. « lucculà ».
Bellafemene: buona donna; nel dopoguerra è stato sostituito da: Signora.
Bellegenie (de): di proposito. 
Bell'ome: buon uomo.
Beneditte: piatto di Pasqua preparato con uova sode, sopressata, ricottine (per chi è fortunato), fette di limone.
Bezzoche: donna religiosa, frequentatrice delle Chiese - nei passati tempi era comune il detto: «bezzoche tira a Cristo che la zoche » bigotta tira a Cristo con la fune.
Bezzuoche: bigotto. 
Bofele: bufalo.
Bonafeciate: giuoco del lotto. 
Botta nterre: piccolo petardo. 
Brasciole: involtino di carne.
Buffette: tavola da pranzo per povera gente.
Bufone: pianta dei campi che danneggia molto il grano. 
Bun'ome: cornuto.
Burrade: latticinio prelibato. 
Buttecelle: bombette rumorose. 
Buttegliozze: boccette di vetro.
Buzzarate: carne arrostita, formava la frase « semela vattute e carna buzzarate » v. « semela vattute».

C

Cacagghie: balbuziente. 
Cacarelle: paura; diarrea.
Cacasaccone: grosso verme che si trovava, a preferenza nei pagliericci di foglie di granturco.
Cacciamane: corpetto per bambini lattanti; grossa sbornia.
Cacciune: cane di pochi mesi; ubriacatura di vino. 
Cacciunielle: cagnolino.
Caggiole: stia per polli; gabbia per uccelli.
Caggiulelle: gabbia per uccelli.
Cagne: cambio; gl'incappucciati che accompagnavano defunti. 
Calìme: animo, calore « pigghia calìme ».
Cambumille: camomilla
Campanelle: fino a qualche decennio fa, alle ore 11,15, la campana più piccola del campanile della Cattedrale suonava per l'ultima messa del mattino.
Canarone: esofago. 
Canaruozze: il collo.
Candre: vaso di terra cotta, ceramica, ferro smaltato per deporre gli escrementi, v. « peppe, prise ».
Cangele: bottoni di metallo. 
Canigghie: crusca.
Cannaruzzette: maccheroni fatti in casa, sul tipo dei zitoni. 
Cannèle: candela.
Cantatore: ranocchie, è il grido dei tarrazzane che le pescano e vendono v. « ranogne ».
Capà: scegliere.
Capacchione: testa grossa. 
Caparrete (a): a capo indietro.
Capecifere: maligno, parificabile al diavolo. 
Capellere: pettinatrice v. « pelucchere ».
Capevuttere: amministratore della masseria. 
Capicchie: capezzolo.
Capisciòle: fettuccia di cotone larga poco più di un centimetro. 
Cappe: mantello usato ancora da qualche vecchio contadino.  
Cappielle: cappello.
Capuzzelle: testine di agnello, cotte al forno, sono preferite dai bevitori ; punte di sigaro per la pipa.
Carduncielle: piccoli cardi campestri tradizionali per la minestra della mattina di Pasqua.
Cardune: cardi di campagna o di orto.
Carnette (na): arrogante, prepotente.
Carote: barbabietola.
Carrate: grossa botte montata su di un carro per il trasporto dell'acqua in campagna.
Carruzzette: carrettino a mano. 
Cartellate: dolci di famiglia per Natale. 
Cartere: cartella per la scuola.
Caruse: tosatura dei capelli.
Casarole: artigiane addette alla confezione delle locali specialità di maccheroni.
Casce: cassa. 
Cascetelle: cassetta: 
Case: casa; formaggio.
Caselare: deposito - magazzino di formaggi.
Casiere: pastore addetto alla confezione di prodotti del latte. 
Castagnole: nacchere.
Cataratte: botola.
Cate: recipiente usato dai muratori per il trasporto della calce; secchio di legno per attingere acqua dal pozzo.
Cavalcante: cavallerizzo.
Cavalle luonghe: giuoco della strada per ragazzi. 
Cavedare: caldaia.
Cavedielle: fetta di pane abbrustolito e condita con sale, pepe, origano, aglio strofinato, olio; preferita nelle fredde serate invernali passate accanto al braciere.
Cavete: caldo. 
Cavzarielle: calzettini. 
Cavzette: calze.
Cecate: cieco.
Cecatielle: le masse dell'opera dei burattini v. « strazzulli »; un tipo di maccheroni fatti in casa rassomiglianti agli gnocchi.
Cegghie accucchiate: sopraccigli uniti dalla continuazione dei peli, denotano malanimo.
Cegghie: cigli degli occhi.
Cegnate: cornuto. 
Celecà: fare il solletico. 
Celecamiente: solletico. 
Celecheje: solleticare.
Cenìete: morbido.
Centrelle: chiodi corti con testa larga per scarpe di fatica.
Centrone: grosso chiodo lungo una trentina di cm. per assicurare le funi delle lavandaie allorchè esistivano; malgrado il deficiente tenore di vita la città non presentava l'odierno aspetto di pubblico, indecente lavatoio, non essendovi finestra o porta di casa in cui non si veda biancheria al sole, col beneplacito delle « solerti » autorità comunali.
Cerogene: candela stearica.
Cervellate: salsiccia di maiale molto doppia. 
Cervone: grossa lumaca.
Cestunie: testuggiine; in segno dispregiativo per una vecchia aggrinzita.
Cetrule: cetriolo; persona insulsa e ficcanaso che s'intromette in ogni discorso.
Checozze: zucca. 
Chedeje: che cosa. 
Chemmune: pozzo nero. 
Chesute: cucito.
Chiaghe: piaga.
Chiagnamalanne: uccello di cattivo augurio; iettatore. 
Chiagne: piangere.
Chianche: macelleria.
Chianchette: lastra di pietra vesuviana per pavimentazione stradale; maccheroni fatti in casa con farina scura, conditi con ricotta salata e denso ragù di carne di maiale.
Chianchiere: macellaio. 
Chiande: pianta di fiori.
Chianette: ceffone; maccheroni fatti in casa detti pure pizzarelle. 
Chianielle: pianelle.
Chiante: pianto.
Chianuozze: pialla. 
Chiappe: capestro; cappio. 
Chiappere: capperi.
Chiarfe: moccio.
Chiarfuse: (chiarfusielle): ragazzo e ragazzino dall'abituale moccio al naso.
Chiattille: piattole; persona grassoccia. 
Chiazze: piazza.
Chiazzette: il vecchio mercato di via Arpi. 
Chiazziere: erbivendolo.
Chiecà: piegare.
Chieche: piega del lenzuolo o di altro oggetto.
Chiene: colma, piena; la piena del fiume. 
Chietrate: gelato, raffreddato.
Chietrature: gelatura notturna. 
Chiove: piove.
Chissacce: chissà; che ne sò.
Chiuove: chiodo di qualsiasi grandezza. 
Ciaccalone: grasso e grosso, gioviale.
Ciaccocchie (nen) : non ragiona. 
Ciaciacche: volgare magnaccia. 
Ciaciuotte: obeso.
Ciafagne: dormire esagerato non a letto.
Cialanghe: avidità, insaziabilità. I nostri nonni accorciavano la coda dei gatti nei primi giorni della nascita per impedire che la « cialanghe » li rendesse famelici.
Ciamaruche: lumaca grande. 
Ciamaruchelle: lumaca.
Ciambotte: pesce in cassuola. 
Cicere: ceci.
Cicine: fiasco di terra cotta per l'acqua.
Ciciuotte: « cavete, cavete » caldi, caldi, gridava per la strada la venditrice di granturco lessato, e i bambini con la cartella dei libri a tracolla entravano nella scuola mangiando i chicchi saporiti',
Ciente: cento. 
Cievze: gelsi.
Cigghie ncuorpe: dolori intestinali.
Citte: zitto, silenzioso. 
Ciucce: asino.
Ciunghe: storpio.
Cocle de l'uocchie: globo dell'occhio. 
Cocle: bocce per il giuoco.
Cole: Nicola; scolare di un liquido.
Controre: pomeriggio estivo v .« fiore de cavete ».
Conza cavedare: ramaio, calderaio.
Conza piatte: col paniere al braccio girava per le vie mettendo « a nuovo » i piatti rotti, unendo i pezzi con gancetti di filo di ferro « punti »; veniva pagato in base al numero dei punti applicati; aggiustava pure gli ombrelli.
Conza scarpe: ciabattino girovago, sulla porta di casa di chi lo chiamava faceva il suo lavoro.
Coppele a tagghlere: berretto del tipo sardo usato anche sul Gargano.
Coppele: berretto.
Corie tuoste: persona irriducibile a miglioramento. 
Corie: cuoio.
Coteche: cotenna.
Cotele: spina dorsale.
Credenze (a ): prender e o vendere la roba a credito.
Crejanze (e cummenienze ): educazione e convenienza. 
Cremone: vigliacco.
Crepate ncuorpe: indifferente, refrattario v. « schiattuse, trippetuoste ».
Crepate: morto improvvisamente, detto in segno di disprezzo. 
Crescende: lievto.
Criature: bambino, creatura.
Crijuole: lacci per scarpe di fatica, confezionati, preferibilmente, con pelle di cani.
Crudivele: legumi che non cuociono; persona affatto socievole e arrendevole « che faccia crudivele».
Cruosche: capricci.
Cravattine: schiaffo; " si ti pigghie pe cruvattine (il collo) » era una minaccia usata molti anni fa.
Cuccemelone: testa calva.
Cucchiare: cazzuola; cucchiaio da tavola. 
Cucchiarelle: cucchiaino di legno usato in cucina.
Cucchierielle: secondo cocchiere delle case signorili, garzone di stalla v. " famiglie ».
Cuccuvaje: civetta; nomignolo per vecchia rugosa e malandata in salute.
Cucenielle: modo di cucinare le uova con la ricotta; merenda del pomeriggio che le ragazze preparano, imparando a cucinare.
Cugne: cuneo di legno v .« varre ».
Culazze: doppio pannolino che si poneva nelle fasce del neonato per impedire che si bagnasse di orina.
Culecà: coricare, andare a letto « a sere quanne te vaje a culecà? ».
Culennette: comodini.
Cumete: aquilone.
Cummegghià: coprire.
Cumpà: compare; si usa confidenzialmente tra popolani.
Cunette: grossi cesti usati dai fruttivendoli; solino inamidato. 
Cuntegnose: ragazza ritrosa, seria, schiva di compagnie. 
Cuolle: collo.
Cuonze: quel pranzo che parenti ed amici intimi offrono ai congiunti di un defunto dopo l'accompagnamento della salma al cimitero.
Cuotte: cotto, bollito.
Cuppine: mestolo.
Curatele: dirigente tecnico della masseria. 
Curie: trottola.
Curte: di corta misura; « curte e male cavate » indica persona bassa e tozza, deforme.
Curtielle: coltello. 
Cusetore: sarto. 
Cusetrice: sarta. 
Cutre: coltre pesante.

D

Dejettate: Donna volgare. 
Delasciate: indebolita, rallentata. 
Derrutte: rutti.
Desprate: povero, squattrinato; esasperato, spinto alla disperazione.
Dessutele: ozioso, vagabondo, uomo inutile. 
Detille: dito mignolo.
Diavelille: ragazzo irrequieto; peperoncini tondi di colore rosso e verde fortissimi che si conservano nell'aceto; quelli, invece lunghi e rossi si seccano al sole per sfarinarli e usarli in luogo del pepe.
Dicije: disse, voce del verbo dire. 
Diente: denti.
Doj'ore de notte: due ore dopo l'Ave Maria.
Dusche: duole, fa male.

E

Ej'asciute da cunte: la donna incinta prossima a sgravare. 
Eje: è, voce del verbo essere.
Erve: erba.
Erve de crape: erba di capra, nasce spontanea nelle nostre campagne; passione dei ragazzi di altri tempi; buona in primavera - allorchè tenera - per l'insalata.

F

Faccecuscine: federa per guanciale; sacchetti usati a preferenza per la farina.
Facce de matarazze: federa per materasso. 
Fa de cuorpe: bisogno di evacuare.
Faccefronte: dirimpetto.
Faccetuoste: sfrontato, senza riguardo. 
Faf'a chiene: fave novelle.
Fafe arracciate: fave lessate, si vendevano, di buon mattino, calde per le strade.
Fafe janche (e laghene ): purèe di fave con fettuccine. 
Fainelle: carrube.
Fernecà: fissato a pensare su di un dato argomento.
Ferracavalle: maniscalco.
Famiglie: mozzo di stalla delle case signorili allorchè in luogo dell'auto v'era la carrozza tirata da pariglie di cavalli di razza.
Fanoje: falò.
Farenare: staccio per la farina. 
Farrisse: faresti, voce del verbo fare.
Fascelle: cesto di giunchi per il trasporto dei formaggi freschi dalla campagna.
Fascette: busto, corpetto da donna con le stecche.
Fasciature: pezzo quadrato di tela bianca; pannolino per neonato.
Fasine: grossa anfora di terra cotta per conservare olio, olive, sottaceti.
Fasulille: fagiolini. 
Fattizze: doppio e nodoso.
Fatture: magìa v. « mascìa ».
Favece: falce.
Faveze: falso; ipocrita. 
Favugne: vento caldo del Sud. 
Fazzatore: madia.
Fazze: faccio, voce del verbo fare. 
Fejute: scappato.
Felinie: fuliggine.
Fenenne: voce del verbo finire.
Fenucchielle: erba aromatica di campagna e di orto per minestra.
Ferlizze: panca rustica fatta con le frèvole usata nelle masserie e case di contadini v. « frèvele ».
Ferzole: padella.
Festacchie: trattenimenti familiari di popolani durante il carnevale; posto preferito di gaudenti del ceto medio e universitari.
Fetecchie: cilecca.
Fezze: feccia di liquidi come olio, vino; attributo di persone volgari; fecciume della gente.
Fichedinie: fichi d'India. 
Fiete: fetore.
Figghiòle: giovanetta del popolo.
Fiore de cavete: pomeriggio estivo v. « controre ». 
Fische: fischio.
Foche: strozzatura; « foche nganne » strozzare.
Fogghie ammeschiate: erbe campestri commestibili di varie specie che danno alla minestra di magro un sapore speciale; i crocesi che le raccolgono le cucinano con fette di pane fatto in casa condite con l'olio e aglio fritto, « sfritte che I'agghie ».
Frabbecatore: muratore.
Fravele: friabile; per comprendere bene il significato, la parola si pronunzia due volte: fravele - fravele.
Freselle: tarallini con semi di anici che vendevano per la strada i « tarallari », ottimi per il vino.
Frèvele: arbusto che nasce spontaneamente nelle campagne del Tavoliere, v. « ferlizze, strappe ».
Frevelone: frullone in uso nei mulini.
Frezzecà: prurito, solletico; ritardo nel camminare o alzarsi da un dato posto.
Friaove: tegamino per cuocere le uova. Fridde: freddo.
Frische: fresco, venticello di ponente ; « staje frische » detto in segno di minaccia .
Friscoli: grossolani filtri di giunchi per l'olio in uso presso gli oleifici v. « trappiti ».
Fronn' e limone: vecchia canzone della malavita. Frosce: narici.
Fruschele: bestia.
Frusce: erba campestre con la quale i crocesi confezionano scope molto morbide; voce del giuoco, con carte napoletane « frusce e premere »; acquazzone di breve durata.
Fruscià: spendere senza valutare il denaro. 
Fruscione: sciupone, spendaccione.
Fruttajuole: fruttivendolo. 
Fucarile: focolare.
Fuffele: v. « avuzze ».
Fuje: voce del verbo fuggire.
Fumeterre: fumaria, erba medicinale delle nostre campagne; con essa nella primavera si facevano cure ricostituenti.
Fumiere: letame, stallatico. 
Funge: funghi.
Fuorce: forbici.
Furcine: lunga asta di legno per reggere le funi delle lavandaie allorchè esistivano v. « centrone '"
Furmelle: bottoni.
Furnacelle: fornello in lamiera per carbone vegetale. 
Furne: forno.

G

Galessiere: cocchiere di piazza.
Galette: secchio di legno per attingere acqua dal pozzo v. cate, nzarte ».
Galle ciambeluse: gallo impastoiato. 
Gallucce: pollo giovane.
Gangale: dente molare. 
Gangarielle: denti.
Garafare: provenienti dal Salernitano, vendevano vetrerie v. « perette, perettielle ».
Garafone: bottiglione di vetro. 
Garze: gote; alette dei pesci.
Gastemà: bestemmiare.
Gattarielle: gattino; « gattarielle scurciate » come disprezzo per persona magra.
Gavete: alto.
Ghiomero: gomitolo di filo. 
Giagante: gigante.
Giargianese: cittadino settentrionale v. « magnapulente », « magnasemelate ».
Giarre: piccola anfora di terra cotta per conservare in fresco l'acqua.
Giarrone: « a nu giarrone nu turnese » gridava il venditore di sorbetti.
Gnò: è la risposta di presente ad una chiamata.
Gnore: la nonna così chiamata dal ceto medio v. « paparuosse ».
Gnorsì: signor sì. 
Gnostre: inchiostro. 
Gocce (ncape): trombosi.
Granecuotte: dolce di famiglia per la ricorrenza della festa dei Santi, preparato col grano tenero bollito e condito con vino cotto, cioccolato, confettini, cannella, pezzettini di noci fresche, zucchero.
Granedinie: granoturco. 
Graste: vaso per fiori.
Grattacase: grattugia per formaggio, pane.
Gregne: fascio di grano mietuto v. « manocchie »; mazzo di finocchi, sedani e altri prodotti dell'orto.
Gualàne: addetto, nelle masserie, alla pulizia del bestiame e delle stalle.
Gualle: ernia. 
Gualluse: ernioso.
Guardapesciacchie: v. « pesciacchie », erano così chiamati i vigili comunali, perchè preposti alla sorveglianza della polizia stradale.
Guarduncielle: striscia di cuoio che congiunge la tomaia alla suola della scarpa.

I

Irmice: tegole.
Isce vattinne: esci vattene. 
Isse: egli.
Iute de cuorpe: avere evacuato.

J

Jame: voce del verbo andare, andiamo.
Janche: bianco.
Janchiatore: operaio muratore, biancheggiatore. 
Janchijà: biancheggiare le pareti; rimprovero ad una persona, spiattellandole sulla faccia i suoi difetti o i suoi torti.
Jenére: genero.
Jete salvagge: bietole selvagge, di campagna. 
Jete: bietole, verdura di orto e di campagna.
Jettà: gettare a terra.
Jocche: nevica.
Jocchele: gallina che cova; chioccia coi pulcini.
Jotte: acqua calda in cui sono stati lessati i maccheroni .
Jumare: piccola corrente di acqua ove i « tarrazzane » pescano alcune qualità di pesce.
Jummente: giumenta.
Juncate: giuncata.
Juncatella fresche: latte cagliato, venduto molti anni fa dai caprai.
Junge: giungo.
Jurnatiere: bracciante che lavora a giornata, senza alcun contratto.
Jute: andato, voce del verbo andare.

L

Lacerte: lucertola dei tetti.
Laghenature: lungo matterello per stendere la sfoglia. 
Laghene: fettuccine di pasta, con e senza uova.
Laghene ca vetriole: fettuccine condite con salsa di pomodori al filetto.
Lambarelle: piccola lampada.
Lambasciuole: cipolline selvatiche. 
Lambazze: cipolline campestri.
Lambiuncielle: fanalini di carta colorata per illuminazioni alla veneziana; di latta, per il carretto.
Lanze: lancia; impeto « de prima lanze ».
Lanzettate: fitte dolorose dovute a reumatismi o altri mali.
Lattamenele: latte di mandorle bollite e schiacchiate, condito con zucchero e droghe, per la ricorrenza del Natale.
Lavedejonne: brodaglia.
Legante: mietitore v. « paranze ». 
Lenghe: lingua.
Levene: legna da ardere. 
Liè: levati.
Lienze: cimosa. 
Llorge (u): orologio.
Loffe: uscita di aria dal corpo per via anale. 
Lucculà: gridare; « lucculeje u banne ».
Lucernelle: piccola lucerna di creta.
Lupenare: cardiaco; spauracchio dei bambini per suoi urli e altre manifestazioni di sofferenze.
Lurde: sporco.
Luscìachiare: risciacquatura della biancheria dopo il bucato. 
Luscìapinte: risciacquatura di indumenti colorati.
Luscìe: bucato della biancheria; ranno.

M

Maccature: fazzoletto.
Magna magne: persona venale e di poco scrupolo, pur di soddisfare i suoi desideri materiali, la moralità non ha importanza.
Magnapulente: cittadino del settentrione v. « giargianese ». 
Magnasemelate: nativo del nord, opposto di « terrone ».
Maiellese: vento freddo che viene dagli Appennini. 
Malabuatte: scapestrato.
Malafemene: donna di cattivi costumi o di animo perverso. 
Maletiempe: tempo cattivo; individuo che ha prave intenzioni. 
Malluoppe: fagotto, gruzzolo.
Maluorte: malfatto fisicamente; per indicare una persona mal­ costruita si diceva : « stuorte e maluorte ».
Mamamme: nonna.
Marasciuole: erba commestibile del Tavoliere, si condisce con l'olio crudo oppure si salta in padella « marasciuole che la sarache ».
Mamberlicche: tipo di caramella nostrana specialità dei caramellari ambulanti.
Mammarosse: mamma grossa, bisnonna . 
Manche: neanche.
Maneche de cammise (in): col solo gilet senza giacca. 
Maniple: aiutante del muratore.
Manocchie: piccoli fasci di spighe di grano coi quali il «legante», dei mietitori forma la « gregne » v.    « paranze ».
Manteca: tipo di latticinio.
Mantegne: barile di legno per acqua, usato dagli « acquarule ».
Mappate: fagotto di vestiario; gruppo di persone di poca stima e valore per cui la frase: « na mappate de fesse ».
Mappine: strofinaccio di cucina.
Maranche: persona piccola e di bassa statura.
Marpione: furbacchione « eja poche u marpione ».
Marrone: errore grossolano; piccolo sasso di forma lunga e liscio per il giuoco dei « castelli » che si fa con le mandorle, specialità delle giovanette crocesi, oppure coi noccioli di pesche.
Maschiature: serratura. 
Masciare: megera, strega. 
Mascìje: sortilegio v. " fatture ».
Masculere: ragazza che ha tendenze maschili. 
Masone: giaciglio per animali v. « ammasunà ». 
Massare de campe: antica voce che indicava l'agricoltore.
Massare: uomo di campagna dedito alla pastorizia.
Mastantuone: tipo di pere di forma schiacciata e dal colore giallino, dal delicato profumo che sui nostri mercati non si è più visto, forse dovuto alla estinzione delle piantagioni; alla pari del famoso, frizzante e prof umato vino di Taurasi dal colore del rubino che, gareggiava coi più rinomati vini tipici nazionali e stranieri.
Maste carriere: carradore. 
Maste d'asce: falegname. 
Maste de cucchiare: muratore.
Maste de via nove: addetto ai lavori delle strade maestre, allorchè si covrivano col brecciame.
Mastricchie: artigiano di scarse capacità. 
Mastrille: trappola per topi.
Matacone: cielo coperto e aria afosa. 
Matreje: matrigna .
Mazzamurro: montanaro ignorante e grossolano. 
Mazzarelle: bastoncino grezzo.
Mazze e pustiche: giuoco della strada per ragazzi.
Mbascianne: richiesta di fidanzamento ; tutti i lini occorrenti al neonato.
Mbonne: bagnare. 
Mbruille: morbillo. 
Mbruogghie: imbroglio. 
Mbusse: bagnato.
Megghie: meglio. 
Megghiere: moglie. 
Melliche: mollica.
Mene: sollecitare « mene mò spicciate », « mene fa subite »; tira vento « mene viente ».
Menne: mammella, v. « mennuzze », " zizze ». 
Mennezze: immondizia.
Mennuzze: mammella. 
Mente ( tene ): guardare.
Messa granne: ore dieci, Messa del Capitolo in Cattedrale. 
Messere: scemo.
Mete: grossa bica di paglia nelle masserie; voce del verbo mietere.
Mezzapatacche: effeminato.
Mezzesole: risuolatura a metà delle scarpe. 
Mezzone: mozzicone di sigaro; nano.
Mieze a la case: defunto sul letto di morte. 
Mignifridde: indolente, privo di energia.
Minchiarine: balordo.
Miscisca: carne di pecora seccata, specialità dei pastori abruzzesi. 
Mmiccule: lenticchie.
Mmocche: in bocca. 
Mope: muta.
Mosse (a ): deliquio, svenimento; « vulime a mosse », muoversi sulle anche si diceva alle canzonettiste, nei vecchi cafè chantant.
Mpalienute: ammuffito. 
Mpalomme: in un giuoco della strada significa equilibrio. 
Mpaloppe: busta per lettera.
Mpampalute: confuso, stordito. 
Mpesacchione: superlativo di « mpise ». 
Mpette: infettato; irrequieto.
Mpiette: proprietà intestata ad una data persona; in petto. 
Mpigne: parte della scarpa; sfrontato, faccia tosta.
Mpise: tristo soggetto degno della forca.
Mpont'a mponte: all'estrema punta; « mpont'a mponte a lu traine. . . » ricorda una canzone di contadini.
Mpusemate: inamidato e stirato.
Mpustatore: persona appostata per fini particolari. 
Mucete: tanfo di chiuso.
Mufalanne: l'anno scorso.
Mulenare: mugnaio.
Munacelle: giovane suora; scarafaggi.
Munacielle: fraticello; ciambella di pane dolce con vino cotto. 
Muorze: piccola porzione.
Mupe: muto.
Murzille: diminutivo di « muorze ». 
Musse: muso.
Mustazze: baffi.
Mustrecielle: mostricciattolo per bruttezza e per cattiveria. 
Mute: imbuto.
Muzzecà: mordere. 
Muzzeche: morso.
Muzzette: mantellina per uomo o donna.

N

Nache: culla. 
Nante: innanzi.
Nazzecà: cullare.
Ncape: sul capo; « ncape a la terre » era chiamato il borgo dei caprai, perchè trovasi a porta Troia, cioè dalla parte più alta della città, verso il Subappennino.
Ncenedi: rammollire a preferenza sul fuoco. 
Nchiaccà: sporcare.
Nchiaccatorio: luogo trascurato, sporco.
Ncine: lungo rozzo bastone usato dai guardiani di armenti; lo usava pure Ferdinando II di Borbone (re Bomba ) allorchè in abito di massaro di campo, veniva qui in occasione delle grandi fiere agricole di maggio e novembre, per fare acquisto di cavalli o vendere quelli dei suoi allevamenti della tenuta di Tressanti.
Ncresciuse: neghittoso.
Ncurparate: imbevuto di acqua o altro liquido. 
Nderzuse: nodoso. 
Ndurzà: andare il boccone per traverso.
Ndustate: indurito.
Nenne: giovinetta, dizione usata dal ceto borghese. 
Nennelle: ragazzina v. « nenne ».
Nennille: ragazzino v. «nenne, nennelle ».
Nganne: inganno; gola « na foch'nganne » vuol dire soffocaiie, strozzare.
Ngappacane: accalappiacani.
Ngegne: grossi palchi che di estate si allestivano in alcune vie per la vendita di acqua fresca col fumetto; piccoli pastifici che funzionavano con un cavallo bendato alla pari dei mulini.
Ngina nganne: angina.
Ngiurà: ingiuriare; alterare i lineamenti del volto per caricatura. 
Ngrazie a Die: ringraziando Dio.
Ngrifà: arricciare il naso per disgusto ; augurare buona vincita ad uno dei competitori in un dato giuoco.
Ngurdate: rappreso, indurito. 
Nierchie: giuoco della strada. 
Nigghie: nibbio.
Nigre: nero. Ninne: giovanetto.
Nisciune: nessuno; non valere niente « eja nu nisciune ". 
N'ore de notte: un'ora dopo l'Ave Maria. 
Nore: nuora.
Nquacchione: sporcaccione; artigiano deficiente. 
Nsogne: strutto di maiale.
Nsustate: inquieto v. « suste ». 
Ntacche: incisione, intaglio.
Ntracchiere: indovina; popolana che s'intromette nei fatti altrui ; zingara.
Ntrettiene: oggetto di distrazione per bambini; contrattempo. 
Ntunette: vezzeggiativo femminile di Antonio.
Ntunielle: vezzeggiativo femminile di Antonio, risponde all'Antonella di oggi v. « Ntunette ».
Ntuntre: cafone di montagna. 
Ntuppà: urtare.
Nù: un. 
Nuce: noci.
Nuteche: nodo; sfaticato. 
Nutrizze: nutrice, balia.
Nuvenielle: gioco di bambini che si fa con un pezzo di specchio contro il sole.
Nuzzele: noccioli di frutta. 
Nzalanute: distratto, incantato.
Nzarte: grossa fune a cui è legata la « galet,te » del pozzo V'. « gaiette ».
Nzerte: intreccio di agli, cipolle ed altri prodotti dell'orto.
Nzevà: insegare, insudiciare di grassi. 
Nzevuse: sudicione.
Nzine: grembo; « ave misse a cape nzine », ha avuto fiducia, si è confidato.
Nziste: svelto, energico.
Nzulfate: solfato di chinino. Se ne faceva uso con la malaria. 
Nzurà: ammogliarsi.
Nzurate: sposato.

O

Ogna longhe: i vecchi Giolittiani aderenti al Partito liberale. 
Ogne: unghia.
Ove de bofele: latticinio squisito e leggerissimo confezionato
col latte di bufalo, introvabile presso i salumieri; durante il tempo in cui la malattia allo stomaco di Mussolini si acuì (1934-35), ogni mattina col Direttissimo (tarantino) arrivava da Roma un milite per rilevarne presso una nota Azienda agricola locale.
Ove n' pregatorie: uova cotte nella salsa di pomodoro.

P

Pagghie: paglia.
Palate: tipo di pane nero che si dava ai cani; bastonate. 
Palatene: v. « scagghiuozze ».
Palette: piccola pala di ferro per prendere il carbone acceso dai fornelli.
Palumme: piccione. 
Palunie: muffa.
Panarizze: patereccio.
Panecuotte: pane cotto condito con olio e sale in uso nelle masserie.
Panettere: giovani addette ai panifici, prima che fosse introdotta la confezione meccanica.
Papagne: decotto di papavero, di cui, nei lontani tempi, si faceva uso per addormentare i bambini.
Paparuosse: fino ai primi anni del secolo il ceto medio chiamava così il nonno v. « gnore ».
Papera stoteche: stordito.
Pappele: insetto nero che si trova nelle fave v. « percià ». 
Paranze: gruppo di cinque mietitori v. « anteniere, l'egante ».
Parature: tutta la massa intestinale dell'agnello v. «turcenielle ".
Pare a vedè: appare, sembra.
Pariente: arrossamento delle gambe delle donne, durante l'inverno, causato dallo stare vicine al braciere; congiunti.
Parruozze: tipo di pane per i contadini delle masserie v. « annarule ».
Passarielle: passero.
Pastajole: piccola artigiana che confeziona e vende maccheroni v. « vrighe, vrigone ». 
Pastenache:  carota. 
Pasturielle: piccolo pastore. 
Pazzià: scherzare.
Peccininne: ragazzino; oggetto piccolo. 
Pecuozze: montanaro grossolano.
Pedeje: pancetta di pecora, imbottita con uova, salame, formaggio, prezzemulo, cotta nel ragù.
Pedestalle: cavalletti di legno o di ferro per il letto di famiglia povera.
Pedetunne: gli aderenti al partito conservatore chiamati Salandrini.
Pegnate: pignatta.
Pelanchielle: spiga di granturco.
Pelle: sbornia di vino.
Pellecchie: pelle fresca non conciata.
Pelòne: grande vasca per depositare l'acqua attinta dal pozzo dell'orto.
Pelucchère: pettinatrice v. « capellère ». 
Peperenielle: persona piccola e graziosa. 
Peperùsce: peperoni.
Peppe (don, zi ): vaso per defecazione «V. « candre, prise ". 
Perazze: piccole pere selvatiche.
Percià: forare, penetrare « damme tiempe ca te perce dice ù pappele a la fafe » v. « pappele ».
Peretielle: bottiglia di mezzo litro v. « perette ». 
Perette: bottiglia di vetro di forma caratteristia fabbricata nel Salernitano, preferita dalle osterie.
Pertùse: buco, pertugio.
Pesande: la quantità giornaliera di formaggi e ricotta che i pastori recano dalla campagna v. poste ».
Pesce fiute: brodetto preparato con olio e cipolla, ma privo del pesce che è . . . scappato via.
Pesce ind'a carrozz.e: lumache lessate e condite. 
Pesciacchie: urina.
Pesciature: pitale.
Petinie: sfogo sulle labbra dopo una febbre. 
Petràte: sassate.
Petrusìne: prezzemolo.
Pèttele: frittelle, tradizionali per la vigilia di Natale.
Pettlangule: quel pezzo di camicia che usciva dal fondo dei calzoncini, allorchè i bambini li portavano aperti tra le gambe.
Pezzate (na): un pezzo di qualsiasi cosa. 
Pezze vecchie: stracci.
Picchie: pianto lungo e petulante di ragazzi.
Picchiuse: bambino che piange frequentemente; persona che parla sempre di guai; pessimista.
Picciole: piccola misura di olio presso i popolani. 
Pichiscine: zerbinotto.
Piezze: pezzo.
Pigghià: prendere. 
Pisciajuole: pescivendolo.
Pisciavennelle: piccolo rumoroso petardo per le serate festive di Natale.
Pitete: scorreggia.
Pizzacallante: cavilloso nel gioco. 
Pizzadolece: torta dolce.
Pizzarelle: maccheroni fatti in casa; piccola torta.
Pizze: angolo di una via; torta di tutte le forme e qualità. 
Pizze chi pertuse: focaccia di farina scura, condita con aglio, sale, origano ed olio, senza pomidoro, in uso presso i Crocesi, appetitosa non appena uscita dal forno.
Pizze de granedinie: « cavta cavte, mo ej'asciute da u furne » gridava sulla porta del pianterreno la «scagghiuzzare », ma anche la venditrice ambulante, con delizia degli scolari che alle otto del mattino quasi tutti zoppicando per i geloni l'acquistavano col turnese o soldino ricevuto dalla mamma; ma la pizza di granturco, specialmente nelle fredde giornate invernali, era anche gradita in famiglia semprechè fosse condita con acciughe, uva passa (zibibbo ), pepe e olio abbondanti (elementi per fare scivolare il buon Barlettone!) .
Pizzecarole: piante spinose dei campi. 
Pizzefritte: pizzelle semplici o ripiene.
Pizzele: pizzicotto. 
Pò: dopo, poi.
Pont'a d'ache: punte d'ago; pastina minutissima per brodo, in vendita presso le pastaiole di una volta; faceva parte de­ gl'ingredienti del « lattamenele ».
Pose: fondi del caffè. 
Poseme: amido.
Poste: fattoria ove svernano gli armentari abruzzesi. 
Potesse: può essere.
Pregatorie: purgatorio. 
Prejezze: allegria.
Prene: incinta. 
Presce: fretta.
Prescegne: donna sciatta, indolente. 
Prete: pietre.
Prevete: sacerdote.
Prise: v. « candre, peppe ».
Probbete: proprio così. 
Prode: prurito.
Provele: mozzarella. 
Prudite: prurito.
Prune: prugne. 
Pulecine (mbusse a l'uoglie): pulcino bagnato nell'olio, persona denutrita, malaticcia.
Pulecine: pulcino.
Pulimme: lustrascarpe. 
Pulvone: vino nero duro. 
Pungecà: pungere.
Pungechente: pungente.
Pungente: togliere in primavera l'erbacce nei campi di grano; scerbatura.
Puntette: la punta della frusta che fa sentire gli schiocchi. 
Puntine: chiodi di varie dimensioni.
Pupatelle: un cucchiaino di zucchero legato in un lino e bagnato in acqua. Si poneva in bocca ai lattanti per evitare il vomito.
Pupe: burattino, bambola.
Pupite: scilinguagnolo; male delle galline.
Purcelluzze: dolci di famiglia per Natale; grosso insetto rassomigliante il moscone considerato portafortuna.
Purciarije: porcherie. 
Pustizze: posticcio.
Putentine: ragazza sfacciata.
Purciarije: porcherie. Pustlzze: posticcio.
Putentine: ragazza sfacciata.

Q

Quacchie, quacchie: tremarella.
Quagliate: latte cagliato che caprai vendevano andando in giro per le vie cittadine.
Quanne: quando, allorchè.
Quante sò: indica grandezza o grossezza di un dato oggetto.
Quaratine: salumieri; buona parte originaria di Corato, per cui il loro attributo.
Quartare: grosso recipiente di terra cotta per conservare l'acqua. 
Quatrare: giovane contadino.
Quatte quatte: piano piano, con la coda tra le gambe. 
Quille (i): involtini di carne di cavallo.

R

Racane: tela grossolana di canapa per sacchi. 
Rafanielle: ravanelli.
Ranogne: rane v. « cantatore ». 
Rappe: rughe.
Rareche: radici. 
Rasche: espettorato. 
Rasule: rasoio.
Rebusciate: debosciato. 
Recchie: orecchie.
Recchie, piede e musse: frattaglie di maiale, usate per la minestra verde o con fagioli.
Recchie sorde: presenza di bambini o persone indiscrete alle quali non si vuol far conoscere cose di famiglia, o di un dato interesse.
Reciette: posto di riposo per gli animali. 
Recottascande: ricotta salata allo stato di pomata. 
Recuttare: vive sfruttando le donne.
Remontature: ricopertura delle scarpe. 
Remonte: v. « remontature ».
Renàle: vaso da notte. 
Rènele: rondine.
Renne: rendere, ritardare.
Renzajuole: chi ha delle particolari simpatie v. « renze  ». 
Renze: preferenza a frequentare assiduamente un dato ambiente; camminare in un certo modo poggiando su di un lato della propria persona e rasentando la strada « camine de renze ».
Requie: mistura di papavero per addormentare bambini, da decenni non è più usata.
Rescegnuole: usignuolo; ragazzo malaticcio. 
Resciore: ritegno, rossore.
Restucce: campo di grano dopo la mietitura. 
Rete (u) : schiena; il dietro della persona.
Retene: pariglia di cavalli; redini. 
Retuorte: contorto.
Revutà: rivoltare lo stomaco alla vista di oggetti schifosi; capovolgere indumenti usati.
Revutamiente (de stomache): nausea, disturbi di stomaco e viscerali.
Ricchietelle: tipo di maccheroni fatti in casa. 
Ricchione: pederasta.
Rignanese: vento di tramontana.
Rischiarà: risciacquatura della biancheria dopo il bucato.
Robba d'uorte: grida di tarrazzane per la vendita dei cardi di campagna v. « cardune ».
Rocchie: raggruppamento di quadrupedi o di uccelli; anche di persone, noto il detto « a sta rocchie de fesse».
Rosele: pezzi di carne di maiale scartati e una volta vendutli a prezzo inferiore a quello della carne.
Rote: ruota.
Rumpije: ruppi, dal verbo rompere. 
Ruòsele: geloni.
Ruotele: largo tegame di rame per le torte.
Ruzzuliamente: rumore sordo; movimento intestinale « tenghe nu ruzzuliamente n'cuorpe ».

S

Sacca mariola: tasca interna della giacca per il portafogli.
Saccone: pagliericcio con foglie di granturco, disusato anche dai più poveri.
Salatielle: lupini. Salme: misura rurale.
Scampà: spiovere.
Scannà: uccidere.
Scannagge: mattatoio.
Sanguettare: chi si reca nei pantani a raccoglier mignatte, chi le vende e chi le applica ai bisognosi di farsi cavare sangue.
Sanguette: sanguisughe. 
Sarache: salacca.
Sarachielle: salacchina. 
Saracine: fogna.
Sarole: grosso recipiente di argilla per conservare l'acqua; si trovava in ogni casa fino all'arrivo dell'acqua del Sele.
Savzarielle: piccolo piatto per dessert. 
Sbaleje: vaneggia.
Sbalijà: il razzolare delle galline; sparpagliare per terra le immondizie o altra roba; fare discorsi insensati.
Sbarbalacchie: compiere atti inconsulti senza pensare alle possibili conseguenze.
Sbrevugnate: sfacciato, senza vergogna.
Sbruffe: sorso di liquido buttato subito a terra. 
Sbruffone: spaccone, vanitoso.
Sburre: termine di cacciatori per indicare un dato modo di presentarsi della selvaggina.
Scacchiatiello: biricchino, monello. 
Scagghione: dente del giudizio.
Schiaffià: schiaffeggiare.
Scagghiuozze: frittelle di farina di granturco, in vendita durante l'inverno; variano di nome a seconda della loro forma e spessore: v. « palatelle, titilicchie ».
Scagne: gl'incappucciati che per meno d'una lira accompagnavano, in corteo, il morto al cimitero.
Scalandrone: scala, quasi sempre di legno che nei vecchi fabbricati porta al solaio.
Scalère: arbusto selvatico usato nei passati anni quale combustibile.
Scamorze: latticinio fresco che dovrebbe essere confezionato col solo latte di mucca.
Scapelature: «girello » per i primi passi dei bambini.
Scapezzà: « scapezzà a suonne » quando si è stanchi gli occhi si aprono e chiudono e stando seduti la testa dondola.
Scapezzacuolle: precipitarsi al punto di potersi rompere la nuca. 
Scapezzate: sbrigliato.
Scarafone: scarafaggio.
Scaravatte: piccolo tabernacolo che si poneva sul comò.
Scarpette (a): terminato di mangiare i maccheroni conditi col ragù, taluni con un pezzo di pane puliscono il piatto del condimento rimasto. Non è regola di buona creanza, ma si fa ancora.
Scartapelle: salacchine « sò figghie de l'arenghe » gridava il fruttivendolo che le vendeva ; donne malnutrite.
Scatène: pettine largo per le trecce.
Scavedatielle: ciambelle di semola di grano duro fatte in casa.
Scazzamurielle: folletto, spavento dei bambini ; piccolo cumulo di polvere stradale agitato dal vento.
Scazzette: berretto di forma rotonda, senza visiera; zucchetto dei sacerdoti.
Scazzille: cispa. 
Scazzuse: cisposo. 
Scemiatore: burlone.
Scennetore: strada in pendenza, il vico S. Giuseppe era conosciuto per la « scennetore de Barone » essendovi l'antico palazzo della famiglia Barone.
Scervellà: perdere tempo e pazienza attorno ad un dato argomento.
Schaffe: schiaffo. 
Schemmugghià: scoprire. 
Schernuzze: lucciola; sbornia. 
Schenielle: sfaticato.
Schercione: vecchio ronzino. 
Scherzone: ceffone.
Schesute: scucito; strappato.
Schiaffà: intromettere.
Schiaffareje: grosso recipiente di argilla per la cucina. 
Schianate: pagnotta di pane di montagna.
Schiandà: impaurire.
Schiande: spavento. 
Schianije: rossore.
Schiarde: scheggia di legno. 
Schiaròle: indivia.
Schiattà: crepare. 
Schiattamuorte: becchino.
Schiattapegnate: tipo di peperoni doppi che si conservano nell'aceto.
Schiattuole: fiore rosso dei campi; giuoco di ragazzi con la carta.
Schiattuse: dispettoso v. « crepate, trippetuoste ».
Schitte: soltanto.
Schiumarole: mestolo metallico con vari fori, detto anche « schiumarelle ».
Schiuppette: fucile.
Schiuppettelle: fuciletto di latta, giocattolo.
Schiuppettuole: rumorosa pistola a salve usata dai giovanotti durante le serate di Natale.
Sciacquà: lavare.
Sciacquarià: lavare facendo cadere, dal catino o daIIa vasca da bagno, acqua sul pavimento.
Scialà: sperperare, godere la bella vita. 
Scialacquà: sciupare denaro senza considerazione. 
Scialenghe: difficoltoso nella pronuncia; bleso.
Sciampagnone: disinteressato.
SciarabaUe: calesse, preferito dai vecchi rurali.
Sciardeje: donna trascurata della persona e della famiglia.
Scigne: scimmia; ubriacatura .
Scille: ali degli uccelli.
Sciocche: donna sciatta che non ha cura dell'ordine e pulizia della casa.
Scioppagangale: dentista v. « gangale ».
Scirpitigghie: cianf rusaglie. 
Scitte: scacciare il gatto. 
Sciumme: gobba.
Sciuppà: strappare dalle mani ; estirpare dalla terra. 
Sciusce: tira vento fresco.
Sciuscià: soffiare il naso.
Sciuvelà: scivolare; noto il detto: « si vace a pigghià a la banche dù sciuvele », è quando il creditore non può essere pagato dallo spiantato debitore.
Scolamaccarone: utensile della cucina. 
Sconciajuoche: persona che dà fastidio e noia. 
ScorciacavaIIe: beccaio equino.
Scorciacrape: vento freddo del nord.
Scrufeluse: ammalati di scrofola, che ringraziando Dio, non si vedono più.
Scruiate: frusta.
Scuffie: cuffia; una brutta vecchia. 
Scuietate: scapolo.
Sculà: colare; « puzza sculà » augurio di vedere deperire lentamente come si consuma la candela.
Sculàre pennangule: giovane studente. 
Scupatore: netturbino.
ScupeliIIe: piccola scopa di giunchi. 
Scupette: spazzola.
Scurcià: scorticare. 
Scurdà: dimenticare.
Scurdajiuole: facile a dimenticare. 
Scure: imposte di balcone o finestra. 
Scurje: oscurità.
Scurnacchiate: cornuto a conoscenza della sua condizione famigliare.
Scurtechine: lenone, nomignolo dato ad un vecchio del mestiere che faceva pure il lustrascarpe.
Scurzette: costata di manzo.
Scuzzette: fucile ad avancarica ad una canna per le allodole; tallone della scarpa.
Sderrupà: cadere in malo modo; invito ad andare a letto a per sona molesta. 
Sduvacà: scaricare.
Sebbuleche: sepolcri della settimana santa. 
Segge: sedia.
Seggìole: sediolina per bambini. 
Selluzze: singhiozzo.
Semela vattute: farina di grano impastata con uova, formaggio, prezzemolo , sul tipo degli « stracciatelli », cotta in brodo o asciutta condita col ragù v. « buzzarate ».
Semelate: polenta. 
Senale: grembiule. 
Senalicchio: grembiulino.
Sentùte: fare orecchio da mercante « tene na sentùte ! ».
Senzafuoche: fiammiferi di legno. 
Serpogne:  lucertola.
Setacee: staccio per verdure. 
Sfacciatone: donna sfrontata.
Sfacciatore: il primo taglio della carne venduta dai macellai.
Sferragliate: chiavistello; maniglia in ferro per chiudere la porta.
Sfraganà: stritolare.
Sfringele: residui della sugna di maiale utilizzati per la « pizza rustica ».
Sfunnate: senza fondo; rottura del fondo.
Sfurcate: tipo degno della forca.
Sfurcatielle: giovane delinquente degno della forca.
Sfussatore: addetto ai lavori dell'ex « piano delle fosse »; « sfussatore du chiane »; sterratore del cimitero.
Sgaiellate: anghilosato, deforme, rachitico. 
Sgarazzate: porta socchiusa.
Sgarrà: sbagliare.
Sgarrazze: fessura, spiraglio.
Sgarzacefale: persona di poco valore e poco simpatica. 
Sgrascigne: malaticcio, scarno.
Signerie: vostra signoria; antico modo di dire usato coi geni tori, persone di riguardo o più anziane.
Simele: colpito da congestione cerebrale, « l'eja venuta na simele ».
Sive: sego.
Smammà: slattare il bambino; dire corbellerie. 
Solachianielle: ciabattino.
Sole: suola per le scarpe.
Sonde: voce del verbo essere « sonde jute ».
Sopaccarte: indirizzo di una lettera.
Sopannozze: malvedere, antipatia per una persona « l'ave pegghiate n'sopannozze ».
Sopatacche: prima suola dei tacchi delle scarpe; si parifica alla carne arrostista molto dura.
Spacca vricce: spacca pietre sulle strade maestre del bel tempo antico.
Spagghià: vincere l'avversario nel giuoco.
Sparacane: asparagi insecchiti sulla pianta non più mangiabili. 
Sparagnà: economizzare.
Sparagnatòre: risparmiatore.
Sparapiezze: pirotecnico.
Sparege jelate: asparago gelato, persona magrissima. 
Spartute: diviso.
Spase: sparsi al sole.
Spaselle: piccolo cesto per la vendita della frutta e del pesce. 
Spassate: evacuare all'aria aperta.
Spasse (a la): disoccupato.
Specie: ricordi; « t'avessa fa arrecurdà specie antiche? ». 
Spertusate: bucato.
Speselà: alleggerire; rifare il letto all'ammalato per farlo meglio riposare.
Spetazzà: ridurre in piccoli pezzi. 
Spezzille: malleolo.
Spezzulieje: spigolare; scegliere il meglio da parte di un convalescente che ha scarso appetito.
Spiccià: sbrigare una faccenda; svolgere una matassa di filo. 
Spinapulece: piccolissimi frutti rossi di campagna.
Spinele: succhiello. 
Spite: spiedo, schidione.
Spogghiampise: mal nutrito, male calzato, male vestito; per­ sona inferiore che toglieva il capestro agl'impiccati; sciacallo.
Spogne: affine al finocchio, si coltiva negli orti, bollita dà odore di anice.
Spunzà: inzuppare. 
Spunzale: cipolline novelle. 
Spurtagghione: pipistrello.
Spurtelle: cestino di giunco, per il trasporto della ricotta e piccoli formaggi.
Squagghiatielle: lezzo di cucina di taverne o dove manca la pulizia.
Squicce: goccia di liquido.
Squicciarule: sgocciolamento, stillicidio. 
Sroghe: suocera.
Sruoghe: suocero. 
Stagnare: stagnino. 
Stanne: quest'anno. 
Statìe: estate.
Stengenà: storpiare. 
Stennerecchià: sgranchire. 
Stepà: conservare.
Sticche: « e tutt'u mie » giuoco della strada. 
Stintine:  intestino.
Stintineje: smuovere, sbattere, dondolare. 
Stizze: stilla.
Stizzechje: pioviggina . 
Strafucà: strozzare.
Strafuoche: cibo (parola usata per disprezzo). 
Strangulapietre: maccheroni fatti in casa.
Strapizze: « v. « scagghiuozze ».
Strappe: pezzo di cuoio o di frevele su cui barbieri passano il rasoio per addolcire il taglio.
Strascenate: popolana del rango più basso; maccheroni fatti in casa.
Strascenatielle: maccheroni più piccoli degli « strascenate ».
Strazzà: stracciare, strappare.
Strazzate: lacerato; viso leso dal vaiuolo. 
Strazzullare: saltimbanco; straccivendolo. 
Strazzulle: opera dei burrattini v. «cecatielle ».
Strembigghie: robe di alcun valore ed utilità che si trovano nei solai e ripostigli.
Striseme: svenimento.
Stronzo: pezzo rotondo di sterco. 
Stroppele: suppellettili inservibili. 
Stroppiate: storpio, minorato. 
Struchelà: strofinare.
Strufele: dolci fatti in casa per Natale. 
Struille: cavicchio.
Struje: consumare.
Struppià: storpiare, rovinare.
Struzzellà: strozzare.
Struzzille: capricci, isterismi. 
Stù: questo.
Stubbete: tonto.
Stubbetejà: assumere pose da imbecille. 
Stubbetielle: giovane scemo.
Stufarole: caldaia. 
Stumacale: emorroidi.
Stuppagliuse: uomo spregevole, parola volgare introdotta dopo la seconda guerra.
Stupple: piccolo involto di stracci, molto in uso, nei passati 44 tempi, nelle cucine per la lavatura dei piatti «ù st'upple di piatte ».
Stutà: spegnere.
Stuzzà: l'uscita del pulcino dal guscio dell'uovo. 
Subbisse: smuovere; mettere in moto con cattivi fini. 
Subessà: sterminare.
Suozze: uguale.
Suppigne: solaio.
Surdelline: fischio in sordina e prolungato.
Suspensione: lampada a petrolio posta al centro del soffitto della camera da pranzo.
Suste: inquietudine; « tene a suste », è preoccupato. 
Svacandà: svuotare.

T

Tabane: pesante cappotto di contadino. 
Taccarate: bastonate.
Tacchere: bastone grezzo ; pezzo di legno doppio; asse delle sedie impagliate.
Tacchijà: camminare frequentemente senza motivo e in fretta.
Tacchijante: persona irrequieta che non sta mai ferma e piace andare in giro.
Tagghià: tagliare.
Tagghie: pezzo di « frevole » sul quale si praticavano dei tagli per indicare le rate di scomputo di un debito v. « frevole ».
Tagghiòle: tagliola per allodole e topi. 
Taluorne: cantilena; discorso noioso.
Tammurre: strumento musicale ; grosso cilindro di legno attorno al quale scorre il canapo (v. «nzarte») per attingere acqua dai pozzi ; porta interna delle Chiese.
Tanne: allora, in quel tempo ; tallo di verdura. 
Tant'a tante: tritare per ridurre in piccoli pezzi. 
Taragnòle: allodole.
Tarallàre: venditrice di ciambelle.
Taralluzze (de S. Biase): ciambelline di farina, azzime e senza sale, tradizionali per la ricorrenza di S. Biagio (3 febbraio) che si venera nella Parrocchia di S. Tommaso, se ne ignora l'origine, perpetuano la tradizione alcune « bezzoche » del vicinato.
Tarastulle: saltimbanco ; persona non seria.
Tarengule: serraporta in ferro o legno.
Tarozzele: arnese di legno che durante la settimana santa sostituisce le campane delle Chiese; giocattolo rumoroso di legno; ruota di ferro sulla quale gira la fune del pozzo per attingere acqua.
Tarrazzane: contadini non salariati e indipendenti, vivono col frutto del proprio quotidiano lavoro che si svolge nelle campagne del Tavoliere, cacciando, pescando, raccogliendo erbe per la cucina e medicinali, spigolando dopo il raccolto delle messi, abitano nel Borgo Croci. Recentemente vi è stato chi pensando che questi lavoratori sono strettamente legati alla terra ha creduto bene di togliere l'a e l'e, sostituendole con l'e ed i, in modo che n'è venuto fuori terrazzani, non pensando, l'ideatore, che tra etimo e pronunzia dialettale c'è differenza. E ancora che l'arbitraria innovazione, il cui bisogno mai è stato avvertito, urta contro un antichissimo modo di dire.
Tassielle: una porzione di pane scuro v. « palate ». 
Tatà: il babbo, così chiamato dai contadini.
Tatanelle: scilinguagnolo pronto e spedito. 
Tatone: il nonno dei contadini.
Tavute: bara.
Tavutielle: piccola cassa per bambini defunti.
Tecte: tieni, prendi; persona ridotta in assoluta povertà, nota la vecchia frase « tecte u tuje e damme u mije».
Tenerielle: prodotti dell'orto, primizie. 
Tenghe: pesce tinca; voce del verbo tenère. 
Teniere: calcio del fucile.
Terzià: scorrere lentamente le carte da gioco. 
Tianelle: tegamino per le uova.
Tic - tac (e funtane): giuoco della strada coi bottoni. 
Tielle: tegame metallico o di terra cotta.
Tielluzze: piccolo tegame.
Tiene'u buche?: volgarità fortunatamente dimenticata.
Tinghe tinghe: persona arrivata di sorpresa, ospite indesiderato « se n'eja venute tinghe tinghe ».
Tise: diritto, senza curvarsi. 
Titele: pietra miliare.
Titilicchie: v. " scagghiuozze »; piccola grezza colonnina di pietra. 
Tocche a lu cervelle: trombosi.
Tocche de gocce: collasso.
Torce: lungo e grosso cero recato dai confratelli nelle processioni 
Traìne: carretto con cavalli per lavori agricoli.
Trainìere: carrettiere. 
Trammuà: tram, omnibus.
Trapanate: forato col trapano; bagnato in modo che l'umidità ha passato tutto il vestiario.
Trappite: oleificio rurale v. « friscoli ».
Trasì: voce del verbo entrare. 
Tribbusia: idropisia.
Tremone: bottiglia di zinco per mantenere il vino in fresco; vaso del gelatiere per i sorbetti; grosso barile per l'acqua v. « ngegne ».
Triache: panico che muove la massa intestinale e fa correre al numero cento.
Tric-trac: piccole rumorose bombette.
Trippetuoste: apatico, insensibile a richiami v. « crepate, schiattuse ».
Trobbecamuorte: addetto nei cimiteri alle sepolture, faccia torva. 
Tronele: tuoni.
Trubbecà: accompagnare il defunto al cimitero. 
Trubbecatore: seppellitore di cadaveri.
Trubbecature: spese generali per il corteo e sepoltura del defunto.
Truocchele: arnese di legno per maccheroni che recano il medesimo nome.
Tunne, tunne: soddisfatto; rimpinzato di buoni cibi, per cui la frase « s'eja fatte tunne tunne ».
Tunne: rotondo.
Tuoste: duro.
Tupparielle: piccoli pesci di mare o lago.
Turcenielle: involtini di budelle di agnelli, venduti, durante l'inverno, dai macellai; in casa si preparano di maggiori proporzioni e meglio conditi.
Turde, turde: mogio mogio. 
Turlicche: trottolino.
Turrette: piccole palle di creta indurita per la caccia alle tortore con la balestra durante la primavera; specialità dei « tarrazzane ».
Turze: torsolo; uomo rude. 
Tuvaglie (a): asciugamani. 
Tuzzelà: bussare alla porta.

U

U: il
Ufficie: è il suono del campanone della Cattedrale alle otto del mattino, allorchè gl'impiegati entravano negli uffici, gli studenti nelle scuole e cominciava la vita cittadina. Giornalmente il campanone suona all'alba, annunzio della nuova giornata, alle 10,30 per la Messa del Capitolo, a mezzogiorno, a « vint'ore »  (quattro ore prima dell'Ave Maria), un'ora dopo con 33 tocchi « vintn'ore », all'Ave Maria.
Ugghiarule: orzaiolo.
Ugliarale: venditore di olio del Gargano, ormai scomparso dalla scena cittadina.
Uocchie n'croce: strabico 
Uoglie: olio.
Uocchie: occhi.
Uuove n'croce (ten l'): stato di nervosismo o di preoccupazioni; è quando la gallina non può depositare il suo frutto prelibato, allora per metterlo in sesto nell'addome e facilitare l'uscita gli antichi piegavano la testa del pollo sotto un'ala e lo facevano rotolare per le scale di casa.
Uppele: tappo di sughero o altra materia. 
Uppelicchie: piccolo turacciolo.
Userale: usuraio, strozzino. 
Userarije: avarizia.
Uzze (a lu bestie, a lu mostre ): disprezzo, schifo.

V

Vacile: catino.
Vajasse: fantesca di basso rango: pizza rustica con uova, prosciutto, latticini, ecc.
Valìa: forza, volontà « nen tenghe valìa a fa niente ».
Valle cavede: castagne sbucciate e lessate con foglie di alloro e sale.
Vammane: levatrice.
Vannine: figlio lattante della giumenta. 
Varde: basto.
Varlare: artigiano che costruisce barili, tini ecc. (bottaio). 
Varole: castagne con la buccia arrostite.
Varrate: recinti fatti con travi per cavalli. Si allestivano al « piano delle fosse » per le fiere agricole di maggio e novembre.
Varre: spranga di legno che si pone, per sicurezza, dietro la porta di casa.
Varrile: barile.
Varrone: spranga di ferro v. « varre ».
Varviere: barbiere.
Vasenecole: basilico.
Vastase: facchino di piazza a disposizione di chi lo chiama. 
Vattijà: battezzare.
Vattinne: vattene; vai via.
Vecchette: chiavistello per la porta. 
Vecchettielle: chiavistello piccolo; lucchetto. 
Vecchiarelle: vecchina.
Vecchiarielle: vecchietto.
Vegnale: poggiolo di abitazioni ad un piano.
Vellicule: ombelico.
Vellùte: bollito. 
Vennegne: vendemmia. 
Vennelle: gonna.
Vennetrice: venditrice ambulante di indumenti femminili usati. 
Verruchele: cavalletta.
Verrute: anziano in gamba, tutto pepe. 
Vescechielle: malaticcio, gonfio come una vescica. 
Vetranelle: scarlattina.
Vetriole: largo e basso imbuto di legno del quale erano forniti i pozzi per riempire i barili v. « acquarule, mantegne ».
Vianove: strada maestra.
Viàte: beato.
Vicce: tacchino.
Viccia stoteche: donna stordita che non sa quello che deve fare. 
Vicciarije: sporcizia, letamaio.
Viente: vento.
Vierme: vermi; « tene i vierme ncape », gli passano ubbie per la testa.
Vierne: inverno, « stu vierne » quest'invernata. 
Vignarole: moglie del vignaiuolo.
Vignarule: conduttore di un vigneto.
Vintn'ore: il suono del campanone della Cattedrale v. «ufficie ».
Vint'ore: il suono del campanone della Cattedrale v. « ufficie ».
Viocce: stradina, sentiero. 
Vocche de l'aneme: sterno. 
Vocche: bocca.
Vorie : vento del nord, bora.
Votapesce: mestolo bucato per prendere dalla padella il pesce fritto.
Votte: botte. 
Vrache: brache.
Vrachiere: cinto erniario.
Vricce: ciottolo, ricorda una vecchia pavimentazione rionale, ancora esistente.
Vrighe: larga, bassa e rustica tavola sulla quale le « pastaiole » confezionano i maccheroni di casa (pasta casareccia ).
Vrigone: stanga di legno, con cui le « pastaiole » ammassano la farina v. « vrighe »•
Vrocche: forchetta.
Vruocchele: broccoli (di cavoli o di rape).
Vucale: boccale di terra cotta, erano molto in uso nelle vecchie osterie.
Vuccone: boccone di cibo
Vulije: desiderio, « vulije de cavele musce » desiderio inappagabile.
Vulze: cavallo bolso. 
Vuove: buoi.
Vuozze: gonfiore della pelle. 
Vuttecelle: piccola botte.

Z

Zà: Scacciare il cane.
Zambre: grossolano campagnolo. 
Zampane: zanzara.
Zampitte: mocassini.
Zanniere: erano così chiamati i mietitori; per spaventare i bambini le mamme raccontavano loro che i mietitori toglievano il « grasso » dalle mani ai bambini irrequieti.
Zanzale: sensale.
Zappielle: popolano ignorante. 
Zazìe: zia.
Zè: per scacciare le capre quando erano portate in giro per la vendita del latte.
Zeffunnà: distruggere, sprofondare.
Zeffunne: sproporzionato, « chiove a zeffunne » senza misura, pari al diluvio.
Zelle: tigna. 
Zelluse: tignoso. 
Zezzuse: sozzo.
Zia, zia: pellegrina dell'Incoronata. 
Ziolle: zia.
Zipe zipe: uccellino; persona molto delicata. 
Zippere tise: persona che cammina impalata senza alcuna movenza.
Zippere: stecco grezzo di legno.
Zite: sposa nell'atto di recarsi in Chiesa per contrarre matrimonio; nubile.
Zizze: mammella. 
Zocchele: ratto; prostituta; nomignolo di un'antica scagghiozzara v. « scagghiuozze ».
Zoche: grossa fune.
Zucagnostre: studentello; modesto impiegato d'ordine ( travet ). 
Zuche finte: ragù senza carne, era in uso durante la quaresima e nei giorni di magro.
Zuche: succo di pianta o frutta; ragù fatto con la carne.
Zuchelelle: cordicella.
Zuchille: modesta salsa di pomidoro con l'olio per condire il pesce o per altri bisogni della mensa.
Zulefrizzeche: essere meschino, insignificante, ridicolo. 
Zumbà: saltare.
Zumbate : sfida al coltello tra gli affiliati alla « malavita ». 
Zumbe: salto.
Zuoccole: pianelle con « suola » di legno. 
Zupperelle: scodella.
Zurielle: piccolo cane bastardo.

da A. Oreste Bucci, Vecchia Foggia Vol. IV, Foggia 1964

Proverbi e modi di dire

1) Chi zappe veve l'acque e chi pute veve u vine;
lo zappatore beve l'acqua e il potatore il vino.

2) Carne de pechere e secure;
carne di pecora, ma certa.

3) Cosa cuverte nen ce cache la mosche;
sugli oggetti coperti non si deposita la mosca.

4) A lenghe nen tene l'uosse ma rompe l'uosse;
la lingua non ha osso ma lo rompe.

5) Chi avije fuoche campaje e chi avije pane murije;
chi ebbe il fuoco visse, chi il pane morì.

6) U delore eja de chi u sente e no de chi passe e terre mente;
il dolore è di chi lo sente, non di chi guarda e passa.

7) Patàne? so li puorce e manche li vonne;
patate? non le mangiano nemmeno i maiali.

8) L'hanne date panne e fuorce mmane;
gli hanno consegnato stoffa e forbici nelle mani.

9) A sta giacchette (sta vennelle) nen ce stanne fuse p'appenne;
a questa giacca (questa sottana) i fusi non attaccano.

10) U cane muzzecheje u strazzate;
il cane morde il « barbone ».

11) Nen cen'eje merde pe fa pallotte;
non c'è sterco per pallotte.

12) Quanne cchiù renne chiù penne;
quanto più ritarda, più aumentano le difficoltà.

13) Fa bene e scuorde, fa male e pienze;
fai bene e dimentica, fai male e pensaci.

14) Erve ca nen vuoje a l'uorte nasce;
erba non desiderata nasce nell'orto.

15) Men'a viente e nen s'abbuschie niente;
tira vento e non si guadagna niente.

16) Addà ballà sope a nu carrine;
dovrà ballare sopra un carlino (moneta borbonica).

17) Si l'ambrieste sarrije buone s'ambrestarrije a megghiere;
se il prestito giovasse si presterebbe la moglie.

18) Sope a u cuotte l'acqua vellute;
sulla parte scottata l'acqua bollente.

19) Vence a cavse e perde a lite;
vince la causa ma perde la lite.

20) Vuove pascene e campane sonene;
i buoi pascolano e i campanacci suonano.

21) Tante ricche marenare quante povere pescatore;
tanto marinaio ricco quanto pescatore povero.

22) A superbie esce ncarrozze e s'arritire a piede;
la superbia esce in carrozza e rincasa a piedi.

23) A massarie de macchiaretonne tridece vuove e trentaseie gualane;
la masseria di macchia rotonda tredici buoi, trentasei custodi.

24) Brutte a luvà u cappielle a i tegnuse;
brutto a togliere il cappello davanti a persone che non lo meritano.

25) A sante viecchie nen s'appicene chiù cannele;
ai santi vecchi non s'accendono più ceri.

26) U munne eje na scarpette, chi sa leve e chi sa mette;
il mondo è una scarpa, chi la toglie e chi la calza.

27) Chi negozie campe, chi fatiche more;
chi commercia vive, chi lavora muore.

28) Na luce nen face luce;
una luce non fa luce.

29) Chi te sape te scrive;
chi ti conosce ti descrive.

30) Quà se file a une fuse;
qui si fila con un solo fuso.

31) Chi de speranze campe desprate more;
chi vive di speranze muore misero.

32) Mazze e panelle fanne i figghie belle;
bastonate e digiuni educano i figli.

33) Povere a chi cade e vace truvann'aiute; 
povero chi cade e va in cerca di aiuti. 

34) Ave fatte tutte vine e senza rieste; 
ha consumato tutto nel vino senza alcun resto. 

35) Nenn'eja viente ca caccia grane; 
non è vento per ripulire il grano. 

36) Suonne sunnate tre vote jucate; 
sogno sognato si goca tre volte. 

37) I ciucce fann'allite e i varrile se sfascene; 
gli asini fanno lite e i barili si rompono. 

38) Chi campe ritte, campe afflitte; 
chi fila dritto campa afflitto. 

39) Tratte che chi eja megghie de te e falli li spese; 
tratta con chi è meglio di te e fagli dei doni. 

40) I denare de l'userale si magne u sciampagnone; 
l'economie dell'usuraio le sperpera il prodigo. 

41) Carna triste n'a vole Criste; 
Cristo non vuole uomini cattivi. 

42) Addò schiopp' ntrone; 
dove scoppia il temporale si sentono i tuoni. 

43) Siemene quanne vuoje c'a giugne miete; 
semina quando vuoi, ma sempre a giugno mieterai. 

44) Tre vote se vace mpaccije - giuventù, miezzetempe e vecchiaie; 
tre volte s'impazzisce - gioventù, mezz'età e vecchiaia. 

45) San Francische i fafe int'u canistre; 
San Francesco, le fave nel cesto per la semina.

46) Magne e fa magnà; 
mangia e fai mangiare. 

47) Cunte spisse amicizie alluonghe; 
conti frequenti lunga amicizia. 

48) Megghie ammediate ca cumpatute ; 
meglio invidiati che compatiti. 

49) Quanne l'amiche te vene a truvà quacche cose l'abbesugnarrà; doppe ca l'avute tutte cuntente sen'eja jute, c'ia vaie pe cercà se mette a gastemà; 
quando l'amico viene a trovarti gli occorre qualche cosa; dopo avuta se n'è andato contento, ma se gli cerchi la restituzione ti risponde male. 

50) Citte, citte miezze a u mercate; 
cosa segreta detta invece al mercato. 

51) Marze cacce u fiore e abbrile ave l'onore; 
marzo caccia il fiore aprile ha l'onore.

52) Chi rengrazie esce da obbleghe; 
chi ringrazia si disobbliga. 

53) U male cuvernate u cuverne Criste ; 
il malnutrito è cibato da Cristo. 

54) S'adatte a varde e selle; 
cavallo adatto al trasporto del carro e alla sella. 

55) Vole tuzzelà (1) l'uove cu magghie; 
vuole rompere l'uovo col maglio. 
(1) " tuzzulà » vuol dire bussare, ma nel caso specifico vuol significare rompere.

56) Chi affitte scorce; 
chi fitta ci rimette. 

57) Quanne Pulecenelle vace n'carrozze tutte l'ammedijeiene; 
quando Pulcinella va in carrozza tutti lo invidiano. 

58) Vole asseccà u mare ca cozzele ; 
vuole prosciugare il mare col guscio della cocciola. 

59) A cavalle gastemate i luce u pile; 
cavallo bestemmiato cresce in buona salute. 

60) Fatte i fatte tuie e trov'a chi ti face fa ; 
fatti gli affari tuoi e cerca chi te li fa fare.
 
61) Crisce figghie, crisce puorce alumene t'allecche u musse; 
cresci figli alleva invece i maiali, almeno ti ungerai di grasso le labbra. 

62) Attacche u ciucce addò vole u patrune; 
lega l'asino dove vuole il padrone. 

63) I pettele ca nen se fanne a Natale nen se fanne manche a Caped'anne; 
le frittelle non fatte a Natale non si vedranno neanche a Capod'anno.

64) U galle ca nen s'eja viste maie vrache mo ca si vede tutte si cache ; 
il gallo che non ha mai portato brache non appena indossate se le sporca. 

65) Eja mort'a criature e nen sime chiù cumpare; 
è morta la bambina e non siamo più compari. 

66) Denare e uocchie da fore quanne so sciute nen trasene chiù ; 
danaro e occhi usciti di fuori non ritornano.

67) L'ome ca nen se face i fatte suie che la lenterne vace truvanne li guaie; 
l'uomo che non guarda ai suoi interessi ma a quelli degli altri cerca guai con la lanterna.
 
68) Tanta vote vace a galette abbasce u puzze fine a quanne se ne vene a maneche; 
tante volte il secchio scende nel pozzo fino a quando va via il manico. 

69) Cavalle de carrozze bona giuventù e mala vecchiaje; 
cavalli di carrozze padronali buona gioventù triste vecchiaia. 

70) Abbrile chiova chiove e magge un'e bone; 
in aprile pioggia continua, in maggio una sola ma buona per assicurare il raccolto. 

71) Vede u' pertone e nen canosce u' centrone; 
vede il portone ma non conosce i bisogni del palazzo. 

72) Regnane, regne quante vuoie ma nen cianghiane; 
Rignano, regna quanto vuoi ma non salgo. 

73) U' vove de Regnane magne a Fazzule e veve a Canelare; 
il bove di Rignano mangia a Fazzulo e beve a Candelaro. 

74) A razze de D. Nicole R. tridece figghie quattodece fesse; 
la razza di D. Nicola R. tredici figli quattordici scemi. 

75) A Madonne u sape chi tene i recchine; 
la Madonna sa chi ha gli orecchini.

76) L'abbusche de Maria Vrenne accattava i levene e venneve a cenere; 
il lucro di Maria Vrenna comperava la legna e vendeva la cenere al medesimo prezzo. 

77) Nen ce sò rumaste manche l'uocchie pe gnagne; 
non ci sono rimasti nemmeno gli occhi per piangere. 

78) Curre a mette u sale sop'a code; 
corri a mettergli il sale sulla coda. 

79) Nen'eja tante dolece de sale; 
non è tanto dolce di sale. 

80) Staje amare cum'a nu cule de cetrule; 
stai amaro al pari del culo di un cetriolo. 

81) Nenn'eja petrusine ca guaste menestre; 
non è prezzemolo che guasti minestra. 

82) Ave fenute di mete e de scugnà; 
ha finito di mietere e di allestire l'aia. 

83) A sacche adda stà sempe lorde; 
la tasca deve essere sempre sporca di soldi. 

84) A vecchie vuleve campà pe vedè; 
la vecchia voleva vivere per vedere. 

85) Se ne scorde passe passe; 
dimentica le cose ogni passo che fa. 

86) Tirete u purtiere e mienece u vecchette; 
tirati la tendina e chiudi col lucchetto. 

87) Avime fatte accagne panne; 
abbiamo cambiato i nostri vestiti.

88) Avime fatte quà u pizze de Sant'Antuone; 
abbiamo fatto qui l'angolo di S. Antonio. 

89) Fische de recchie a mane manche core franche; 
fischio di orecchia a sinistra cuore tranquillo. 

90) Fische de recchie a mane ritte core afflitte; 
fischio di orecchia a destra cuore inquieto.
 
91) Figghie de viecchie schiave de l'avete; 
figli dei vecchi schiavi degli altri. 

92) Tene na salme de cliente mocche; 
tiene un mucchio di denti in bocca. 

93) Tene a pupite cum'a li galline; 
tiene lo scilinguagnolo come le galline.
 
94) Tene l'utere revutate; 
ha l'utero rivoltato. 

95) A Canelore a vernate eja fore; 
responne a vecch'arraggiate 
nenn'eja fore a vernate 
si nen vene a Nunziate, 
si vuò stà chiù secure 
quanne scennene i meteture; 
e pe stà cchù contente 
quanne pesene i jummente; 
la Candelora, l'invernata è finita; 
risponde la vecchia arrabbiata 
non è fuori l'invernata 
se non viene l'Annunziata; 
ma per essere più sicuri 
quando vengono i mietitori; 
e per stare più contenti 
quando le giumente battono il grano. 

96) Mò faje a mezzore? 
adesso fai la mezz'ora di scemo? 

97) T' agghia fa muzzecà addò nen ciarrive; 
ti devo far mordere dove non puoi arrivare. 

98) A la prim'acqua s'embonne; 
si bagna alla prima pioggia. 

99) L'affezione di Giuvanne C. ca pigghiave a megghiere a pizzele retuorte; 
Giovanni C. per affetto pizzicava la moglie. 

100) U scrupolo du casiere; 
lo scrupolo del massaro.

101) Chi rengrazie esce da obbleghe 
chi ringrazia si disobbliga. 

102) Nen'agghie misse ancore a chiave sott'a porte; 
non ancora ho messo la chiave sotto la porta. 

103) Vole caccià u zuche d'a la prete; 
vuole ricavare il succo dalla pietra.
 
104) « Pover'a me» decije presutte quanne se vedije miezze a tanta gatte; 
«povero me » disse prosciutto attorniato da tanti gatti. 

105) « E va bene » decije donna Lena quanne vedije a figghia prene;
« va bene » disse donna Lena nel vedere la figlia incinta.
 
106) Pozza j cum'e u male turnese; 
possa non trovare pace come la moneta di un tornese. 

107) Eja figghie a parecchie galantuomene; 
è figlio di parecchie persone perbene.
 
108) U picchie pure renne; 
il lamentarsi pure rende.

109) Mo s'arricche Criste cu Patre nostre; 
Cristo non si contenta del solo Pater noster. 

110) Chi fume eja guappe; chi mazzeche eja puorche, chi pezzecheje eja galantome; 
chi fuma è guappo, chi mastica è sporcaccione, chi pizzica è persona perbene.
 
111) A Sant'Anna ca vene; 
« a Sant' Anna che viene » era l'annuale promessa di colui che mai pagava il fitto dell'abitazione.
 
112) Tene i stabbele rempette a favugne; 
tiene i fabbricati rimpetto al vento di favonio.
 
113) Muzzecheje u detille; 
mordi il dito mignolo.
 
114) Passe l'Angele e dice ammen; 
passa l'Angelo e dice Amen.
 
115) Giancalasse magne, veve e vace a spasse ; 
Giancalasse mangia, beve e va a spasso.
 
116) Nen cose, nen file e nen tesse; 
non cuce, non fila e non tesse.

117) Tene a code de pagghie; 
tiene la coda di paglia. 

118) Uppele du stesse legname; 
turacciolo dello stesso legno. 

119) Faceve sta recotte de fume; 
faceva la ricotta puzzolente di fumo. 

120) Eja rotte a mezza canne; 
si è smessa ogni misura nelle azioni. 

121) Nen tene manche l'acque ind'a sarole; 
non tiene nemmeno l'acqua nel recipiente di riserva. 

122) Ce manchene i megghie vuove da caravane; 
mancano i migliori buoi della mandria. 

123) Dicije buone D. Erneste ca « la moglie non si presta»; 
disse bene D. Ernesto che la moglie non si presta. 

124) Eja munne dicije Giasacche; 
è mondo disse Giasacche. 

125) Ave perze i vacche e vace truvanne i corne; 
ha perduto le vacche e va in cerca delle corna. 

126) Ce vole a zingare p'adduvenà a venture; 
occorre la zingara per indovinare la fortuna. 

127) Mò cache u prime fasciature; 
il lattante ha sporcato il primo pannolino. 

128) Si l'avecelle canuscesse u grane nen ce ne starrìe grane pe la campagne ; 
se l'uccello conoscesse il grano in campagna non n'esisterebbe.

129) Seca, seche a chi tene fuoche; 
alla ricerca di un po' di fuoco. 

130) Vace pe rizze e trave cestunie; 
va in cerca di ricci e trova testuggini. 

131) A vecchie abbasce u puzze steve affucanne e faceve segne chi mane ; 
la vecchia nel pozzo, affogava e gesticolava ancora. 

132) Me pare l'avecielle da mala canzone; 
sembra l'uccello del cattivo augurio. 

133) Favugne mprene a vorie e cacce u figghie accquarule; 
favonio rende incinta la bora e fa piovere.

134) Ce vedime a Santa Marie di strazzulle; 
vedremo a S. Maria degli straccivendoli 
(8 settembre, antica data per i cambi di abitazione). 

135) Ntane, ntane u rutte porte u sane; 
piano, piano il malato aiuta il sano. 

136) Se ne vace ndrete ndrete cum'a coteche sop'u fuoche; 
diminuisce di peso ugualmente alla cotenna sul fuoco. 

137) Ser'a notte pieze faveze e credenze; 
a sera tardi moneta falsa e vendita a credito. 

138) Te scioppe i taccarate da dint'a li mane; 
ti toglie le bastonate dalle mani. 

139) Corre che na prescie cum'a avessa j a speccià la Curie; 
corre come dovesse recarsi in Tribunale.

140) Nen sape cune se mette a tielle  sop'u fuoche; 
non sa come si pone il tegame sul fuoco. 

141) Me pare na quartare senza maneche; 
sembra una grossa anfora senza manichi. 

142) A megghia carne eje a vaccine; 
la migliore carne è quella bovina. 

143) Carne de vaccine sbrevogna cucine; 
carne bovina fa sfigurare la cucina. 

144) A paura guarda a vigne; 
la paura guarda la vigna. 

145) U puoje dà che I'accette; 
persona sana e robusta da tagliarsi con l'ascia. 

146) Ave cacciate a cape da dint' u sacche; 
ha messo fuori la testa dal sacco. 

147) Tene u mele a la vocche e u rasule a li mane; 
tiene il miele sulle labbra e il rasoio nelle mani. 

148) Starnatine vaje a casa vintotte; 
stamattina sei invitato a pranzo. 

149) S'eja maretate che nu cicine e na pegnate; 
si è sposata senza dote. 

150) U re ne vole la mostre; 
il re vuole un campione. 

151) Manche si fosse venute na zinchere; 
Nemmeno se fosse venuta una zingara ad indovinare l'avvenire

152) U megghie amiche te mene a megghia petrate; 
dal migliore amico si ha la migliore sassata.

153) Stasere se balle a la case de Tolle; 
questa sera si sta in allegria. 

154) Nen sape tenè tre cicere mmocche; 
non sa tenere tre ceci in bocca. 

155) Vide cum'u marite ave struppiate a quella là; 
vedi come il marito ha ingrassato quella donna incinta. 

156) Mo ca se n'addone u cape stentine; 
adesso che se ne accorge l'intestino «capo». 

157) Ave vippete l'acque de puzzeretunne; 
ha bevuto l'acqua di pozzorotondo di piazza Federico II. 

158) Sante Guglielme e Pellegrine amante di frustiere; 
Santi Guglielmo e Pellegrino protettori dei forestieri.

159) A Matalene a ciammaruchelle eja prene; 
alla Maddalena la lumaca è gravida. 

160) Face chiù meracule na votte de vine ca na chiese de Sante; 
fa più miracoli una botte di vino che una chiesa di Santi. 

161) Ave fatte quaresime attarde; 
ha fatto tardi la quaresima. 

162) Ancor'addà vedè a vipere e già chiame a San Pavele; 
non ancora vede la vipera e già invoca S. Paolo. 

163) Pe quante eje d'amore pe tante eje di sdegne; 
per quanto è d'amore, tanto è di sdegno.

164) S'eja misse ca cape a lu core; 
si è messo con la testa sul cuore. 

165) Ce vole nu mazze d'aruchele e na panette ; 
occorre un mazzo di rucola e una pagnotta. 

166) Assemegghie a sporte d'a tarallare; 
rassomiglia il cesto della tarallara. 

167) Avime fatte chi figghie e chi figghiastre; 
abbiamo fatto chi figlio e chi figliastro. 

168) Pezzende e grannezzuse; 
pezzente e arioso. 

169) A zite doppe spusate tutte a vonne; 
la sposa dopo le nozze tutti la vorrebbero per moglie. 

170) Eja chiù fetente du chemmune du carcere; 
puzza più del pozzonero delle carceri. 

171) Sinte probbete n'appicciafuoche; 
sei proprio un fomentatore di dissidi. 

172) Chi belle vole parè l'uosse e a pelle l'adda dulè; 
chi vuole apparire bello deve fare dei sacrifici. 

173) A fortuna nen eje de chi sa face ma de chi sa gode; 
la fortuna non è di chi la crea, ma degli eredi che la godono. 

174) Ogni priezze da u core te vene; 
ogni allegria viene dal cuore. 

175) Fuje cum'a vessa j a corre u palie; 
scappa come dovesse correre il palio. 

176) Nen vole arà e manche scurcià; 
non vuole arare nè scorticare.

177) Eja fa une ca campe e l'ate ca nemmore; 
devi fare uno che vive e l'altro che non muore. 

178) Se ficchene pure ind'a a lu cule de la cecale; 
s'intromettono anche nel culo della cicala. 

179) Si vuò mette u pede sop'a ogne prete nen c'arrive cchiù; 
se metti il piede su di ogni pietra non arriverai più. 

180) Povere a chi tene a male numenate; 
povero chi ha cattiva fama. 

181) Mbruogghie aiuteme tu; 
imbroglio aiutami. 

182) Mò eja ca mbrogghie cenere e panne lurde; 
è il momento in cui confonde la cenere coi panni sporchi. 

183) A la tavele e a u tavuline se vede u galantorne; 
al tavolo da pranzo e al tavolino da gioco si conosce la persona educata. 

184) Doppe vennegne accatte i mute; 
dopo la vendemmia compera gl'imbuti. 

185) A vennetrice doppe c'have camenate na jurnate a sere se face quatte passe p'a salute; 
la venditrice di oggetti usati dopo avere camminato l'intera giornata, la sera fa quattro passi per la salute. 

186) I dite d'a mane nen sò tutte de na manere; 
le dita della mano non sono tutte uguali.

187) Sant'Antonie face tridece grazie e sante mangione ne face quattodece ; 
S. Antonio fa tredici grazie ma la pappatoria ne fa quattordici. 

188) Addò lieve e nen ce mitte eja nu mare de scunfitte; 
togliere dalle riserve famigliari e non aggiungere è il fallimento. 

189) Eja jute p'arrecchì e ave fatte diebete; 
è andato per arricchire ed invece si è indebitato. 

190) Oh!. . . . a chi chiame li vuove? 
Oh! ... chi chiami i buoi? 

191) Na mamma cresce diece figghie e diece figghie nen campene na mamme; 
una madre alleva dieci figli, ma dieci figli non mantengono la madre. 

192) U vove nciure a lu ciucce chernute; 
il bue chiama l'asino cornuto. 

193) Ave ditte nbacce a me; 
ha detto sulla mia faccia. 

194) Une eja rugne e l'ate eja zelle; 
uno è rogna e l'altro è tigna. 

195) Eja nate cavezate e vestute; 
è nato calzato e vestito (fortunato). 

196) Pe vulije de larde mettije u dite ncule a u puorche; 
per desiderio di lardo mise il dito nel culo del maiale. 

197) U ciucce da vutrarije; 
l'asino della « vutrarije » voce dialettale non bene definita; denota persona laboriosa e capace sulla quale ricadono incarichi e responsabilità di ogni specie. 

198) Chi vole u male de l'avte u suje eje addrete a la porte; 
chi desidera il male altrui il suo è dietro la porta di casa. 

199) Chiove e male tiempe fa, a la casa de l'avete nenn'eja buone a stà; 
piove e fa cattivo tempo in casa ultrui non si sta. 
Ma la comare rispose: 
Ije me ne vache secure e tu che la pizze mò asciute da lu furne te cuoce u cule; 
io vado via tranquilla ma tu stando seduta sulla pizza appena uscita dal forno ti scotti. 

200) Doppe vippete a la saluta voste; 
dopo bevuto l'augurio di buona salute. 

201) Stamattine sò lampe e tuone; 
stamattina minestra di pasta e fagioli con « temporale » addominale. 

202) Salute e figghie mascule; 
buona salute e augurio di figli maschi. 

203) Sant'Anne pruvved'e manne nu terne umese e na megghiere (o nu marite) a l'anne; 
Sant'Anna un terno al mese e una moglie (o un marito) l'anno. 

204) Addà succede n'accise e nu'mpise; 
si prevede un omicidio e un'impiccagione.

205) Assemegghie u pezzente da ville; : 
rassomiglia la statua del pezzente che nei lontani tempi era sita nella grotta della fontana della villa. 

206) Superbie e maletiempe poche durene; 
superbia e intemperie non durano a lungo. 

207) Eja l'uorge ca lu pongeche; 
è l'orzo che lo punge. Apprezzamento rivolto a persona in buono stato economico, che gode buona salute e « sfruculieje » la gente. 

208) A raggione se dace a li fesse; 
al fesso si dice: hai ragione. 

209) Megghie fesse ca sineche; u fesse eje pe sempe, u sineche dure quatt'anne; 
meglio essere scemo che sindaco, il primo è per tutta la vita; l'altro è per pochi anni. 

210) Te scioppe i schaffe da dint'a li mane;
ti toglie schiaffi dalle mani. . 

211) Povère a isse, quanne ved'a me s'adda fà u tavute; 
povero lui, quando mi vedrà dovrà farsi la bara. 

212) A sorte du pover'ome;
la sorte del povero uomo. 

213) Tise u vole la mamme;
diritto, svelto lo vuole la mamma. 

214) Acqua mocche, stanne i recchie sorde; 
tacete, sono presenti i ragazzi, oppure persone che non possono ascoltare certi discorsi.

215) L'haje capate da dint'a a lu mazze; 
l'hai scelta dal mazzo. 

216) T'avess'a fa recurdà i specie antiche? 
ti dovessi rinverdire antichi ricordi? 

217) L'acque romp'i ponte, u vine dace a salute; 
l'acqua rompe i ponti, il vino dà la salute. 

218) Tene i vierme n'cape; 
gli passano cattivi pensieri per la mente.
 
219) Agghia vedè apprime addò agghiazze u lebre; 
devo prima vedere dove sta la lepre. 

220) U liette se chiame rose si nen duorme te repose; 
il letto si chiama rosa, se non dormi ti riposa. 

221) Nen se spose u ciucce pe paura ca i strazze i lenzole; 
non sposa l'asino per paura che stando a letto strappi le lenzuola. 

222) A quille i fete u mustazze;
gli puzzano i baffi.

223) Nen se face passà a mosche pe nante a lu nase; 
non si fa passare la mosca davanti al naso. 

224) Nen passe pe nante a la Chiese pe nen se luvà u cappielle; 
non passa davanti la Chiesa per non togliersi il cappello. 

225) Bongiorne: a la chiazze se vennene i corne;
buongiorno, in piazza si vendono le corna. 

226) Nen vulime vedè a che ore sone vintore? 
non vogliamo vedere prima a che ora suona venti ore?

227) Famme fesse e famme apprime; 
fammi minchione, ma per primo.

228) Chiù nigre da mezzanotte nen potesse; 
più oscuro della mezzanotte non può essere. 

229) Dalle, dalle a u cane arraggiate; 
dagli dagli al cane idrofobo. 

230) Pare u fume de Cachine; 
sembra il forno di Cachino che mai si riempiva. 

231) Starnatine tenghe certi lapse a quadregliette pe la cape; 
stamane ho per la testa certi lapis a quadretti. 

232) Se n'eje addunate du fiete de l'arze; 
si è accorto del puzzo di bruciato. 

233) Pare a bannariole du campanale; 
sembra la banderuola del campanile. 

234) Se ficche miezze cum'a mercudì int'a settemane;
 s'intromette nel discorso ugualmente a mercoledì nella settimana. 

235) Chiove a zeffunne; 
piove senza misura e da sprofondare. 

236) Mò pazzeje a fa male; 
adesso scherza per far male. 

237) Te ne vaie a anne e mise scurdate; 
te ne vai per anni e mesi che non si possono contare. 

238) Chi tene facce se marite e chi no reste zite; 
chi si sa presentare trova marito e chi no resta nubile.

239) A sorte de Peppe Nasille; 
la fortuna di Beppe Nasillo al quale mai riusciva buona una faccenda. 

240) L'eje arruvate u grasse nganne; 
gli è arrivato il grasso alla gola. 

241) U tene sope a lu nase; 
lo tiene sul naso. 

242) Dicije quille de Cannite avrimme sta tutte e duie aunite; 
disse quello di Cannito dovremmo stare tutti due uniti. 

243) Damme tiempe ca te perce, dicije u pappele a la fafe; 
dammi tempo che ti farò il foro, disse l'insetto nero alla fava.
 
244) Ancore eja nate già se chiame Dunate; 
non ancora è nato già si chiama Donato. 

245) Vierne eja passate e u diavele s'eja cavzate; 
l'inverno è passato e il diavolo si è calzato. 

246) Nfra abrile e maggie e se no facime passagge; 
tra aprile e maggio, se no faremo passaggio. 

247) Adda vedè u pane ind'u cicine e l'acque ind'u farenare; 
dovrà vedere il pane nel fiasco e l'acqua nello staccio. 

248) O more u ciucce o more u patrune; 
o muore l'asino o muore il padrone.

249) Parle quanne pisce u galle; 
parla quando piscia il gallo. 

250) A galline face l'uove e a u galle i dusche u cule. 
la gallina fa l'uovo e al gallo dispiace.

251) I guaie da pegnate i sape a cucchiare; 
i guai della pentola li conosce il mestolo. 

252) Te miene nnanze pe nen cadè; 
ti fai avanti per non cadere. 

253) Pò ce vedime i facce noste; 
poi ci vedremo le nostre facce. 

254) U giudizie campe la case; 
l'accorgimento fa andare avanti la casa. 

255) Ne mmagne pe nen cacà; 
non mangia per non evacuare. 

256) A precessione se vede quanne s'arritire; 
la processione si vede al rientro in Chiesa. 

257) Madonne e cume la mene; 
Madonna! come viene giù la neve. 

258) A mene a galette; 
piove a secchi. 

259) U pedocchie int'a farine se crede u cape mulenare; 
il pidocchio nella farina si crede il capo mugnaio. 

260) Eja jute pe farese a Croce e s'ave cecate l'uocchie; 
è andato per farsi la Croce e invece s' e cecato gli occhi. 

261) Mitte na macchia nfacce a n'utre d'uogghie; 
con una macchia non sporchi un otre di olio.

262) Tene a facce d 'a pelle de l'ugliarale ; 
tiene la faccia dura come la pelle di un otre. 

263) Luccheleje cume si jettasse u banne; 
strilla come lanciasse il bando. 

264) Pozza sculà a tante a tante; 
possa deperire lentamente. 

265) Vole mpedì i pecore a u passagge; 
vuole ostacolare il passaggio delle pecore. 

266) A dame abballe e u cavaliere se repose; 
la dama balla e il cavaliere riposa. 

267) U ciucce porta a pagghia e u ciucce sa magna; 
l'asino trasporta la paglia e l'asino la mangia. 

268) Addò jate tutt'e duje? 
dove andate tutti due? domanda scherzosa rivolta al contadino a cavallo dell'asino. 

269) Vecchie arrecurdete l'anne tuje; 
vecchio ricorda i tuoi anni. 

270) Na vota s'impennije Cola; 
una volta s'impiccò Nicola. 

271) Cume Catareneje accussì Nataleje; 
come viene la data di S. Caterina così capita quel­la di Natale. 

272) Mette fiche int'a panare; 
mette fichi nel paniere, pensa ad arricchire. 

273) Ce ne vonne de mesale e salviette pe spusà quella là; 
occorre una buona dote per sposare quella brutta ragazza.

274) Spose marisse e se pigghie a maresse; 
nozze infelici tra due pezzenti. 

275) Fanne figghie cum'a li cunigghie; 
fanno figli come i conigli. 

276) Pigghie a Criste e sente a li fesse; 
Cristo non ascolta i cretini. 

277) Eje arruvate chi rote nterre; 
è arrivato con le ruote a terra. 

278) Eja muorte e non vole stenne i piede; 
è morto e non vuole allungare le gambe. 

279) Eja muorte ca nen'aveze Croce; 
è morto povero per il quale non sorge tomba. 

280) Mò t'aje allesciate nu tre; 
adesso hai lisciato un tre. 

281) Eja menate nu tre nterre; 
hai buttato un tre a terra. 

282) Vanne aggementanne a mazzarelle de S. Geseppe; 
vanno provocando il bastone di S. Giuseppe. 

283) Chi se coleche chi criature s'aveze cu liette cacate; 
chi va a letto coi bambini si alza col letto sporco. 

284) Eja vecchie e i prote a pellecchie ; 
è vecchio e provoca. 

285) Quande cchiù poche sime megghie parime; 
quando più siamo pochi tanto più staremo meglio. 

286) Aria nette senza paure de tronele; 
aia pulita non ha paura di temporali.

287) U servizie ca t'incresce fall'apprime; 
la faccenda che ti riesce fastidiosa cerca di espletarla per primo. 

288) Quist'eja restucce speculate; 
quest'è campo ove si è già spigolato. 

289) Acque e viente e stoppe da rete; 
salute e auguri di « buon viaggio ». 

290) Te sint'arravugghiate cum'a lu pane de Natale; 
ti sei avvolto in panni pesanti alla pari del pane per farlo lievitare. 

291) Chi tene na figghie l'affoche e chi ne tene ciente l'alloche; 
chi ha una figlia la sposa male mentre chi ne ha cento sposano tutte fortunatamente. 

292) I denare de l'avete s'ammesurene a tumele; 
i denari degli altri si misurano col tomolo. 

293) Stanne un bammine nasce femene; 
quest'anno il Bambino di Natale nasce femina. 

294) Vace a Naple p'accattà nu curle; 
va fino a Napoli per comprare una trottola. 

295) Coppe e matrecoppe e pure fridde sente; 
vestiti su vestiti ma sento sempre freddo. 

296) Mitte mane a la tele; 
metti mano a la tasca. 

297) Eja brutte cu sieste, cu trieste e cu trainanà; 
è brutto in tutte le maniere. 

298) A vecchie quille ca vuleva nsuonne li jeve; 
la vecchia sognava ciò che desiderava.

299) Doppe quaresime vruocchele e predicature nen servene cchiù; 
dopo la quaresima broccoli e predicatori non occorrono più. 

300) C'eja velute sette vergene e Marie; 
sono occorse sette vergini e Maria.

301) Eja de fave la cupete; 
la copeta è fatta con le fave. 

302) Cicce cummanne a Cole e Cole cummanne a Cicce; 
Ciccio comanda a Cola e Cola comanda a Ciccio. 

303) Tecte u tuje e damme u mie; 
ecco il tuo e dammi il mio; indica chi cammina a mala pena mal reggendosi sulle gambe, ma anche chi è ridotto in assoluta povertà. 

304) Se mantene a l'impiede pe scummesse; 
ha scommesso di potersi reggere in piedi dato lo stato di debolezza. 

305) Me pare a votte du nutare Varrone: 
sembra la botte del notaio Varrone nella quale conservava in piena confusione tutti gli atti che redigeva. 

306) A sorte du nutare Pelegne; 
la fortuna del notaio Pelegna, al quale mai riusciva un atto in regola. 

307) Tene a cape de Ninne Ninne; 
avere la testa di idrocefalo. 

308) Fanne tu pe me e ije pe te;
fanno continui battibecchi per la ripartizione di oggetti personali.
 
309) Pare u sorge a cavalle a u presutte; 
sembra il topo sul prosciutto (un tipo ridicolo).
 
310) L' agghie camenate pizze e ponte; 
l'ho camminato dal principio alla fine. 

311) L'eja fa na vutate e na gerate; 
si riferisce alla carne arrostita sulla gratella gradita al sangue. 

312) Agghie misse a sputacchie nterre vedime quante ce mitte a venì; 
ho sputato per terra vediamo se la saliva si asciuga prima del tuo ritorno. 

313) Nen decenne mancamente; 
senza disprezzare gli altri. 

314) U baccalà eja pure pesce; 
il baccalà è anche pesce.
 
315) Mina mina tene u rète quant'e na tine; 
delicata nella persona tiene largo il sedere. 

316) Cu si t'impicce e cu no te spicce; 
col si t'impicci delle cose altrui, col non intrigarti ti togli da ogni fastidio.
 
317) L'uocchie ne vole la parte; 
l'occhio giudica le parti.
 
318) L'ave tagghiate la cape; ancore nen u dice ch'eja figghie a lu patre !; 
gli rassomiglia in pieno, non puoi negare che sia figlio al padre.

319) Va, vattinne v'arricchisce a n'ate; 
vai via, arricchisci un'altra persona.
 
320) Lu vecchie t'eja pigghià u panecuotte l'aja fa; 
è diretto alla zitellona che aspira al marito.
 
321) S'ave luvate 'i rappe da la trippe; 
l'affamato che ha potuto di nuovo stendere la pancia.
 
322) Ima vedè acchenn'esce, diceve u pacce; 
dobbiamo vedere che succederà, diceva il pazzo.
 
323 )" Figghia femene e mala nuttate; 
figlia femina e notte perduta.
 
324) Vole cacche, zizze e mbrù; 
bambino lattante esigente.
 
325) Adda sbatte nterre cum'a na tenghe; 
deve contorcersi per terra ugualmente alla tinca. 

326) A nome de Santa Cecche o pigghie o assecche; 
nel nome di Santa Cecca o vince o perde. 

327) I pariente sò la sacca chiene; 
i congiunti sono i soldi nella tasca. 

328) L'agghia fa luvà u vizie de magnà; 
deve perdere il vizio di mangiare. 

329) Eja surde u cane, a gatte eja mope; 
allorchè non si vuol rispondere a date richieste.
 
330) O quiste o u trave da mangiatore; 
o questa minestra o legato alla mangiatoia. 

331) Mmiccule sonde troppe piccule e nen avastene a sazià; 
lenticchie per la loro piccolezza non saziano.

332) Daddò viene? porte cipolle; 
quando non si vuole stare in argomento.
 
333) Nenn'u puje pigghià no cu sazie e manche a la diune; 
non si prende nè sazio nè digiuno. 

334) A cere se struje e a precessione nen camine; 
i ceri si consumano e la processione procede lentamente. 

335) A visse e vurrije sò pariente a lu pitete; 
« se avessi e vorrei » sono semplici desideri. 

336) Chi eje ca nen vole fa u migghie face u migghie che tutte u migghiare; 
a chi rincresce di sbrigare una faccenda breve tocca spesso di occuparsi di una più lunga.
 
337) Addò stace guste nen c'eja perdenza. 
dove c'è piacere non si bada a interessi. 

338) Uocchie ca nen vede core ca nen desidere; 
il cuore non desidera ciò che non vede. 

339) T'a puoie veve ind'a nu bicchiere d'acqua; 
apprezzamento per una bella ragazza.
 
340) Tene a facce de quille ca ngiure; 
ha la faccia di un caricaturista. 

341) Criste manna i biscotte a chi nen tene cliente; 
Cristo manda benefici a chi non li merita. 

342) Quanta magnate me perde, diceve Pulecenelle; 
quanti buoni pasti perdo per mancanza di denaro, diceva Pulcinella.

343) Agghie fed'a Die ca me l'adda fà vedè miezze a la case; 
ho fede in Dio che dovrà farmela vedere sul letto di morte.
 
344) Arrobene la santa fede; 
sono i bottegai che profittando del rincaro e della mancanza delle autorità speculano e rubano in ogni modo. 

345) Chi tene denare assaje sempre conte e chi tene bella megghiere sempe cante; 
chi ha molti soldi sempre conta e chi ha bella moglie sempre canta. 

346) Avime fatte a morte de Criste e la feste di giudeie; 
dopo la morte di Cristo viene la festa dei giudei. 

347) U ciucce de Fechelle; 
l'asino di Fichelle sempre vispo e calciatore. 

348) Parie probbete cum'a nu libbre strazzate; 
parla proprio come un libro con pagine strappate. 

349) Se n'eja venute tinghe, tinghe; 
arrivato senza alcun invito e non recando nulla di buono. 

350) A votte de Cecerenelle ; 
la botte di Cecerenella che mai si vuotava.

351) Hanne accucchiate nu belle ambe asciutte; 
coniugi malamente assortiti che f armano un ambo poco « felice ».

352) Se sò jute truvanne cu campanielle; 
persone che vanno perfettamente d'accordo, quasi si fossero cercate col campanello.
 
353) Se n'ej a venute mane fresche e castagnole; 
ospite indesiderato presentatosi con le mani vuote, ma con le nacchere per divertirsi.
 
354) Nen te diche favurisce ca subbete se fenisce; 
frase rivolta a persona che non piace di far sedere a mensa.
 
355) Nen se canosce isse stesse; 
convalescente dopo lunga malattia reso irriconoscibile per primo a lui.
 
356) Che bella pariglie de baje scure; 
apprezzamento su due persone poco raccomandabili. 

357) Mo vene la fresche; 
Sta per arrivare la pioggia. 

358) L' eja venute nsopannozze; 
gli è diventato antipatico. 

359) Eja arruvate u sconciajuoche; 
è arrivato chi dà fastidio.
 
360) Quà u piezze e quà u sapone ; 
qui il denaro e qui la merce. 

361) Nell'agghia lassà de pede. 
non debbo lasciarlo di pedinare.
 
362) La chiave a lu cinte e Martine inte; 
la chiave in tasca e l'amante in casa.

363) Se sò accucchiate a lime e a raspe; 
si sono uniti la lima e la raspa.
 
364) Nò isse e nò lu miediche; 
non lui e nemmeno il medico.
 
365) Fete cume la cecuta cotte; 
puzza come un decotto di cicuta.
 
366) Tene a facce da cecuta cotte; 
ha la faccia ingiallita come la cicuta bollita.
 
367) Se magnarrije mamma che tutte tate; 
divorerebbe madre e nonna insieme. 

368) S'ave mise quatt'ove ind'u piatte; 
ha messo quattro uova nel piatto (s'è arricchito).
 
369) Tir' annanze de riffe e de raffe ; 
tira avanti la vita stentamente; con espedienti. 

370) Ca te pozza j nderzune; 
che ti possa andare in gola per traverso.
 
371) Darrije l'aneme a Peppe; 
darebbe l'anima al diavolo. 

372) Nenn'u vogghie ch'je nigre; 
non lo voglio che è nero (chi finge di rifiutare).
 
373) Face u fesse pe nen j a la guerre; 
fa il finto tonto per non andare in guerra.
 
374) Pace u fesso int'a nache; 
fa lo scemo nella culla.
 
375) A longhe d'agnune; 
lontano da ognuno le disgrazie.

376) A cape ca nen parle se chiame checozze; 
la testa che non parla si chiama zucca.
 
377) A megghia retene de Capogne; 
la migliore pariglia di cavalli erano stati denominati i due ronzini del «Calessiere» Capogna. 

378) Ogni pile u face trave; 
ogni pelo lo fa diventare trave. 

379) I cepolle sop'u fucarile; 
i seni turgidi di una ragazza, parificabili alle cipolle sul camino. 

380) Ej'addeventate quant'e na quarte di pane; 
deperisce giorno per giorno. 

381) Pare u grille ind'e i fuffele; 
sembra una cavalletta tra gli arbusti. 

382) L'ave capate da dint'a lu mazze; 
l'ha proprio scelto nel mazzo.
 
383) Nen tene crianze e manche cummenienze; 
non ha educazione. 

384) M'ave fatte ammatte lu male; 
mi ha impaurito. 

385) M'ave fatte pigghià la gocce; 
mi ha atterrito. 

386) A ve fatte a cagne l'uocchie che la code; 
la talpa cambiò gli occhi per avere la coda.
 
387) U liette cum'u faie accussi u truove; 
il letto lo trovi come lo lasci.

388) U miedeche ave ditte c'addà sudà; 
il medico ha prescritto panni pesanti durante la stagione calda.
 
389) Site tutte e tre cu stesse nome putite battezzà nu ciucce; 
avete in tre il medesimo nome potete « battezzare » un asino.
 
390) A ve rumaste u vuccone da crianze; 
l'ospite ha lasciato nel piatto l'ultimo boccone.

391) Pu magnà se vennarrija u teniere; 
per il cibo darebbe il calcio del fucile. 

392) Chi prim'arrive prim'allogge; 
chi fa prima prende posto innanzi. 

393) A case de galantuomene nen se torne rieste; 
al galantuomo non tocca il resto del conto saldato. 

394) Mo u manne a accattà u pepe; 
lo toglie davanti con un pretesto, perchè incomodo.
 
395) Add'arruvà ca mazzarelle de S. Geseppe. 
arriverà per l'elemosina. 

396) U face a cuoppe e turnese; 
chi ha preso la mano su di una persona e la gira come crede. 

397) Mo ù face messere; 
adesso lo piglia in giro.
 
398) Eja juste musse suie; 
non è sua abilità.

399) L'ave puoste a vennelle ncuolle; 
la moglie che domina il marito. 

400) L'Angele l'ave parlate a la recchie; 
è stato avvisato da un angelo.

401) Mene marze che tutt'abbrile; 
spira vento forte e freddo. 

402) Mene mamme che tutte tate; 
giornata d'intemperie. 

403) Isse su sono e isse su frische; 
lui canta e lui fischia, fa tutto da se.
 
404) Eja pedocchie revenute; 
è pidocchio rinvenuto. 

405) Ave magnate code de vibbere; 
faccia biliosa. 

406) A te la vogghie venne la tele ca si puntuale; 
sei dubbio pagatore.
 
407) Nen se scalfe e manche s'addefredde; 
non si scuote in alcun modo. 

408) Te scalfe dananze e t 'addefriedde da rete; vicino al braciere, davanti riscalda ma dietro raffredda. 

409) Ave perze la vie de la case suje; 
per debiti e cattive azioni non rincasa più. 

410) Eje nu maccarone senza periuse; 
è un tonto, un maccherone non bucato.

411 ) A vasce ca vinne; 
diminuisci il prezzo e venderai.
 
412) U ncarnà e scarnà so duje malanne; 
abituarsi al buono e disabituarsi sono due mali.
 
413) Anne fatte u fuse e la chenocchie; 
coniugi fisicamente male combinati.
 
414) Tiene nu sol de? e accattete a storia ; 
è quando raglia l'asino.
 
415) Se ne vanne cum'e li pecure de zi' Amore; 
le rubavano giornalmente. 

416) I ciucce d'Ariole; 
gli asini del ciabattino Ariola, più botte che biada. 

417) Suonne e pisce lu liette; 
sogni e sporchi il letto.

418) Vole j a truvà Mechalangele ; 
Michelangelo era un vecchio becchino di questo cimitero.
 
419) Giuvanne Fiore triste triste e maie more; 
malaticcio che fa temere sempre la morte.
 
420) Puzza j case, case; 
non avere mai riposo nè calma.
 
421) Che ora eje? pecchè t'eja pigghià u nsulfate; 
devi prendere il chinino?
 
422) Une dice statte e l'ate nen te muvenne; 
uno dice fermati, l'altro non ti muovere.
 
423) Tene i mane de cere; 
piglia tutto con delicatezza.

424) Che sta sorte de jurnate e nesciune s'embenne; 
con questo sole non viene impiccato nessuno per offrire spettacolo.
 
425) Luntane da l'uocchie luntane da lu core; 
la lontananza rallenta l'affetto.
 
426) No isse e no lu miedeche; 
nè lui e nemmeno il medico.

427) Eja megghie na masciè ca n'anghiute de cape; 
meglio una stregoneria che un'« imbottitura» dì testa.
 
428) A li cane decenne e no li cristiane; 
augurare male? piuttosto ai cani che agli uomini.
 
429) Ave truvate subete a pezze a chelore; 
ha trovato subito la scusa.
 
430) A vecchiaie l'ave date ncuolle; 
la vecchiaia gli è venuta addosso.
 
431) lnnuciente, chi nen tene niente s'annette i diente; 
Innocenti (ricorrenza sacra del 28 dicembre) chi non ha da mangiare si pulisce i denti. 

432) U suverchie rompe u cuverchie; 
il troppo guasta.
 
433) Vole pagghie pe ciente cavalle; 
insaziabile, non gli basta la paglia per cento cavalli; chi vuole farsi ragione per forza avendo torto.
 
434) Chi nasce quadre ne more tunne; 
chi nasce quadrato non può morire tondo.

435) Chi tene u comede e nen se ne serve eja nu fesse; 
chi ha mezzi a disposizione e non ne profitta è uno stolto.
 
436) Se ne vanne cume lu fume da cannele; 
quando denari e provviste si consumano celermente. 

437) O moneche, o prevete, o ricche, o mpise; 
o monaco, o prete, o ricco o impiccato (sfogliando la margherita). 

438) Chi lasse a via vecchie e pigghie a nove sape che lasse e nen sape che trove; 
lasciare il certo per l'incerto non è prudente.
 
439) Chi udirne u fume e facime u pane arze. 
non curarsi se i propri interessi vanno a precipizio.
 
440) Me sente ncuorpe vozze, vozze; 
fermenti intestinali. 

441) Zombe u cetrule e vace ncule a l'urtelane; 
intromettersi nel discorso senza invito a parlare.
 
442) Mo se ne vene cu vasce de Gaietane; 
chi procede lentamente in tutte le sue cose.

443) Cane suspette abbaje a la lune ; 
chi ha paura della propria ombra.
 
444) Zuoppe a ballà e scialenghe a cantà; 
zoppo ballerino e balbuziente cantante.
 
445) Vuoje schiaità a nnamurate? Suone e nen cantanne; 
per fare dispetto all'amante si suona e non si canta.

446) Addà sta che nu punte ncule e n'ate mmocche; 
tacere in ogni circostanza. 

447) A castagne eja bella da fore e fracede da inte; 
l'apparenza inganna. 

448) Azzette sie e che la lenghe pen terre a quella bella Madonna nostre, ca nen so degne de numenarle; 
pregando la Madonna.
 
449) U prevete e miezze ; 
trasporto di un feretro al cimitero accompagnato soltanto dal prete della parrocchia e sagrestano.
 
450) Ancora avess'asci da li studi; 
per chi si preoccupa che un ragazzo si assenti anche per qualche giorno dalla scuola

451) Tezzone e caravone agnune agnune a li case lore; 
carbone vegetale e minerale non vanno d'accordo. 

452) S'eja truvate int'a nu venga venghe; 
si è ingolfato in un mare di guai. 

453) Stu tiempe tene a stizz'mponte; 
il tempo minaccia di piovere. 

454) Vieste ceppone c'addevente barone; 
vesti perbene un cafone sembra un signore. 

455) Avasce ù Don anghiane a mesate; 
lascia gli onori, ma pensi al guadagno.
 
456) Quiste nen ce steve a calannarie; 
questo non era previsto dal calendario.

457) Tenerne ca me tenghe; 
non si regge in piedi ed ha bisogno di essere sorretto. 

458) Si lu teme pigghie barone sò chiamate; 
chi spera in una vincita al lotto per essere rispettato e valutato. 

459) Se leve ù pane da la vocche pe nen scumpari; 
si sacrifica per non fare cattive figure. 

460) Mo se dace cu pede ndrete; 
indietreggia dopo avere assunto un impegno.
 
461) Tremeleje a gangarielle; 
batte i denti per il freddo o la paura.
 
462) A gatte de masteragne apprime rire e pò chiagne; 
la figura dell'ipocrita dalle due facce.
 
463) Se ne so cadute l'anielle ma stanne sempe i dite; 
gli anelli sono andati via ma restano le dita. 

464) Mu fa veve na stizze? 
vuoi farmi bere un sorso?
 
465) Siemene e fa sule; 
semini ma fai da solo, non associarti ad altri.
 
466) Dure quant'a Natale e Sante Stefene; 
brevità di una faccenda o di un discorso, quanto lo spazio tra le due feste.
 
467) Se storce cum'a lu male de la lune; 
le distorsioni di chi non sa stare fermo, ugualmente alla luna tra le nuvole.

468) N'a vogghie ch'eja agre dice la volpe; 
è la volpe che lo dice quando non può avere l'uva; finto disprezzo per un oggetto a cui si aspira.
 
469) Chi spute nciele nfacce i vene; 
l'offesa ad altri ricade sulla propria persona.
 
470) S'hanne spartute u suanne; 
amici indivisibili e affettuosi al punto di dormire insieme.
 
471) Starnatine mene na scorciacrape; tu qua varia, quanne a chiame frecapezziente? 
stamattina spira una bora fredda; quando la chi(q mi invece rovina gente? 

472) Nenn' ave avezate maje Croce; 
persona insignificante mai considerata.
 
473) Amen, amen a messa greche; 
individuo docile che acconsente a tutte le cose. 

474) Mò s'ammolle sta gallette (biscotto marino); 
tipo duro che non cede a lusinghe.
 
475) Quanne ce vulime vedè i facce noste? 
è la richiesta del creditore al debitore.
 
476) Te l'agghie ditte e te l'agghia fà; 
promessa di vendetta.
 
477) S'eja mise de case e de puteche; 
s'è installato con la casa e la bottega.

478) Jucame e pazziame e a tabacchere nenn'a tuccame; 
giochiamo e scherziamo ma non tocchiamo gli interessi.

479) U' fridde s'u magne; 
è quando nel braciere il carbone si consuma con rapidità.
 
480) Esca mbosse e azzarine de fierre ; 
esca bagnata e acciarino di ferro.
 
481) Accagghie e citte; 
ascolta, prendi nota e fai silenzio.
 
482) Te face mette i capille janche; 
ti fa mettere i capelli bianchi.
 
483) A grazie de Scazzette ; 
quando nelle cose non c'è il senso della misura.
 
484) Eje diavele appicce la luce; 
imprecazione a Satana allorchè gl'interessi personali vanno per traverso. 

485) Cadute, cacarelle e catarre malanne d'i viecchie; 
caduta, dissenteria e tosse malanni dei vecchi.
 
486) Pile, pecunie e prutezione mantenene u' munne; 
peli, danaro e protezione reggono il mondo. 

487) Men' a prete e se tir'a mane; 
lancia la pietra, ma si tira la mano. 

488) A morte stace cchiù pe l'ajne ca pe la pechere; 
è più in pericolo la vita del giovane che quella dell'uomo maturo.
 
489) Fatiche chi stentine mbrazze;
lavora come se fosse ferito ed avesse in braccio le budella. 

490) Tene a frasche e senza vine; 
un negozio che ha le sole mostrine, ma gli manca la merce.
 
491) Vace armante cu si bemolle; 
nelle sue cose procede lentamente.
 
492) Frebbare curte e amare; 
Febbraio mese corto e freddo. 

493) « Si marze ncrugne fa saltà l'ugne » accussì dice l'abruzzese; 
Se marzo s'inquieta per il freddo fa saltare le unghia.
 
494) Tene tutt' i vizi cum' a lu mule ciuccigne; 
ha tutti i vizi del mulo asinino. 

495) A Sant'Antuone maschere e suone; 
a Sant'Antonio ( 17 gennaio) maschere e suoni per l'inizio di carnevale.
 
496) Se n'eja venute nzicte e nzacte; 
un intruso arrivato senza preavviso.
 
497) U vine janche addebelisce a cotele e face piscià; 
il vino bianco indebolisce la schiena e fa orinare.
 
498) Vulè bene e nen'essere velute eja tiempe perdute; 
amare e non essere amato è tempo perduto.

499) Stipe sierpe ca truove anguille; 
conserva serpenti (cose inutili e senza valore) troverai anguille (verrà tempo che quelle cose serviranno).
 
500) Jenere e nepute tutte quille ca faie eja perdute; 
generi e nipoti tutto ciò che si fa per loro è perduto, perché si dimostrano ingrati.

da A. Oreste Bucci - Vecchia Foggia Vol. 4 - Piccolo Dizionario e Proverbi, 1965

« U SCAZZAMURIELLE »

Se i zannieri rappresentavano per i bambini lo spauracchio vivente e visibile, così non poteva dirsi di un altro soggetto che sull'animo dei piccoli incuteva soverchio terrore; esso però non si vedeva e le mamme non appena incominciavano per strada pianti e capricci ne facevano intravedere il pericoloso approssimarsi. « U Scazzamurielle» dalla descrizione che veniva fatta, tra lo stupore degli attenti piccoli ascoltatori, non appariva così truce come i zannieri ; anzi era presentato sotto l'aspetto di un vispo folletto, vestito tutto di rosso e con due cornetti fosforescenti sulla fronte. Egli si avvicinava al letto dei bambini cattivi, mentre dormivano, e li tormentava ballando senza mai fermarsi sulla loro pancia, smetteva soltanto quando vedeva la sua vittima pesta e malconcia in preda a commozione generale ed alla febbre. Era la punizione che « u scazzamurielle» infliggeva ai discoli e piagnucoloni; motivo per cui le mamme non si stancavano di raccomandare ai loro figli di essere buoni, se non volevano, durante la notte, subire il castigo del diavoletto rosso. Alla pari dei zannieri anche dello scazzamuriello non si sente più parlare nelle famiglie del nostro popolo; ormai i bambini non credono più a queste ubbie; oggi, essi, nascono con gli occhi aperti! Ma « u scazzamurielle» aveva un altro significato: in estate, specialmente durante la controra, qualche folata di favonio investe avanzi di spazzatura e pezzetti di carta raccolti negli angoli delle vie formando della massa polverosa una piccola colonna d'aria che coi suoi mulinelli acceca l'incauto passante. Anche i vortici della polvere stradale hanno ormai perduto il loro primitivo nome; anche perchè scomparsi; il tempo, inesorabilmente, passa e dà l'addio a tutte le anticaglie!

Vecchia Foggia, vol. 1, Stab. Tipografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1960

ZIA ROSA

« Zia Ro me vuie da na zenna?» « Mene zia Ro, damme na zenna !» Una preghiera ed un ordine che uno sciame di scugnizzi, a coro, rivolgeva a zia Rosa la tarallara. Tracomatosa e senza nemmeno più un dente, nei giorni di festività religiose, in compagnia della figlia più cisposa di lei, immancabilmente si collocava vicino alle porte delle Chiese, con la sedia, il focherello ed un largo e capace cesto sul quale ripartiva la mercanzia; sempre attorniata da uno sciame di mocciosi. Era un quadro del più genuino folclore nostrano. Ma ciò che i monelli con la loro petulante insistenza chiedevano a zia Rosa, non erano che pochi acini di grano bollito e passato nel vino cotto; piatto che nei passati tempi ogni famiglia preparava - abbondantemente condito - nel giorno di tutti i Santi. Una leccornia che i figli della strada si concedevano il lusso di gustare quando arrivavano a possedere un tornese e che si affrettavano a passare a zia Rosa, la quale serviva loro il grano cotto in piattino e relativo cucchiaino di latta. Era la migliore ghiottoneria dei monelli, i quali lustravano il piattino con la lingua e non soddisfatti chiedevano alla paziente Zia Rosa un'altra zenna (un altro poco). Ma non era questo l'unico commercio di zia Rosa, perchè ne aveva un altro che esercitava clandestinamente per paura delle guardie: era quello degli schioppettuoli che con due o tre soldi allungava ai giovani furtivamente di sotto al cesto. In città - però - non vi era soltanto zia Rosa che confezionava taralli, freselle, sciugabocche, che di domenica, nei giorni di processione e festivi venivano venduti da giovani i quali con la spasella a tracolla gridavano: « Duje ciuccie nu solde, tengo pure 'a catena pu 'llorge », (due taralli a forma di asino un soldo; ho pure la catena per l'orologio, anelli di pasta incatenati).

Vecchia Foggia, vol. 1, Stab. Tipografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1960

PESANTICCHIO

Ovvero il « re dei crocesi » - così chiamato per il grande ascendente che aveva sui forti e sobri abitanti del popoloso rione contadino - ed il tipo più popolare della nostra città del passato secolo.
Chi non conosceva Michele Notariello? Chi non si era fermato, almeno una volta, nella sua osteria posta sulla sinistra di via delle Croci, chiamata più comunemente la strada di Pesanticchio (traversa di Via Manzoni che sbocca in Piazza Sant-Eligio)? Basso di statura, panciuto, rasato, rubicondo come un parroco di villaggio, dall'immutabile cappello nero a forma di mezza ricotta con sottogola e larghe tese sotto il quale pendeva il fiocchetto del tradizionale berretto bianco, che i nostri rurali hanno portato sino ad un ventennio fa ed oggi vediamo in testa ai ragazzi e ai gagà.
L'autorità di Pesanticchio emergeva in tutte le faccende che interessavano il rione, per le quali era indispensabile il suo parere; ma formava legge nella organizzazione del programma delle feste in onore di S. Anna.
Come di uso non doveva mancare nei pressi dell'osteria il palio dei maccheroni; poi quello della cuccagna, le corse degli asini e del sacco che suscitavano la massima ilarità nella folla degli spettatori, accorrenti dai punti più eccentrici della città, i cui grandi premi consistevano in quattro o cinque metri di tela dai più vivaci colori che appesi a lunghe canne facevano bella mostra sul balcone del convento dei Cappuccini.
A sera tutte le vie rionali venivano illuminate dalle lunghe arcate delle multicolori lampadine ad olio; vi risaltava quella caratteristica dei cetrioli, mentre fuori di ogni porta i terrazzani banchettavano offrendo il più simpatico quadro folcloristico. Le feste avevano termine con l'insostituibile battaglia di Solferino, suonata dal Concerto di Amatruda, e la fragorosa batteria del pirotecnico Buonpensiero abitante rimpetto a Pesanticchio.
In quelle afose serate di fine luglio, le tavole dell'osteria erano, insufficienti per i numerosi clienti che vi affluivano a gustare le pizze fritte di farina scura e 'u pesce 'int'a carrozza (lumache). Arrivava l'annuale momento, data la folla che aumentava, in cui Pesanticchio apriva la porta di comunicazione con la sua camera da letto e, felicissimo come una Pasqua, accoglieva amici e conoscenti.
Ma la notorietà di questo popolano - più che alla bontà dei cibi e dei vini del suo esercizio ed ai rispetto che avevano per lui tutti i crocesi - si doveva alla passione ed all'accanimento che poneva, quale militante del partito progressista (Giolittiani ) nelle locali lotte politico-amministrative, per le quali spesso spendeva del suo.
Conoscitore di tutti i mezzi di corruzione elettorale - secondo i sistemi del tempo - costituiva per il partito un elemento prezioso durante il periodo dei comizi e più specialmente nella giornata della votazione.
Molta e viva parte egli ebbe durante la lotta per la candidatura politica del concittadino avv. Antonio Tota, competitore di Eugenio Maury; era sicuro della vittoria che purtroppo - quella volta - non arrise ai liberali ma . .. . .. ai piedi tondi o vicci.

Vecchia Foggia, vol. 1, Stab. Tipografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1960

LE CASTAGNARE

Alle otto del mattino uscivano dalla casa – magazzino della padrona recando sulla testa un gonfio e pesante sacco ed in mano lo scaldino di terracotta, più un corto e robusto bastone.
Erano le floride e fresche ragazze della «eterna verde Irpinia » venditrici di frutta secca che raggiungevano i loro posti fissi, siti nei vari punti della città: fuori Porta Grande; all'angolo di Via Arpi - Ricciardi, ove i frequentatori dell'antichissima cantina di « Calauccio » o « Pulicino » erano buoni clienti; in Piazza Cattedrale, affiancato al banchetto di Michele Pizzadolce; in via Duomo, angolo via del Tesoro; in via Cairoli al riparo della Chiesa di San Francesco Saverio; all'angolo del cadente Palazzo De Santis, (attuale albergo Roma) ecc...
Giunte sul posto, buttato il sacco a terra, le castagnate ritiravano da qualche bottega, osteria o portone vicino la bancarella e la sedia lasciata in custodia la sera precedente, e disponevano, bene allineati, i diversi sacchetti contenenti: castagne, noci, nocciuole, semi, sui quali ponevano in mostra i fischietti di terra cotta di primitiva fattura - che per vivacità di colori costituivano mira costante e oggetto dei quotidiani capricci dei bimbi del vicinato.
Le castagnare ingaggiate dalle padrone – native come loro di Ospedaletto Alpinolo - convenivano qui in autunno; vi permanevano tutto l'inverno e dopo la parentesi del periodo di apertura del Santuario dell'Incoronata, a metà giugno ritornavano alle loro case. Non sempre nel successivo anno si rivedevano le stesse, poiché spesso erano sostituite dalle sorelle o dalle compagne più giovani ed amanti della trasferta in città.
Tutte belle, dalle fresche e rosse labbra, piene di vita e di semplice grazia montanara, facevano subito presa sui giovani, tra i quali non mancavano gli spasimanti, che passavano intere giornate vicino alla bancarella.
Però quando nel discorrere oltrepassavano i limiti della convenienza il manganello - che la giovane teneva a portata di mano - provvedeva a calmare i bollori.
A tal proposito non mancavano dicerie sul conto di queste ragazze, le quali per ritornare alle loro case, dopo circa otto mesi di assenza con un piccolo gruzzolo, affrontavano un duro e penoso lavoro, esposte alle blandizie ed ai mille tentacoli - spesso - di gente di ogni risma e priva del minimo scrupolo. Ma le padrone - forse a compenso della scarsa remunerazione del loro lavoro - vigilavano e le cronache del tempo non ci danno, in proposito, ricordi tristi.
Dopo una intera giornata passata agli angoli delle strade, esposte alla pioggia, al vento e a tutte le intemperie, sul tramonto col sacco in testa, un po' più leggero del mattino, rincasavano; attese dal consueto piatto di fumante polenta o dai tradizionali spaghetti conditi con olio, aglio e peperone fritto, annaffiati dall'acqua della sarola!

Vecchia Foggia, vol. 1, Stab. Tipografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1960

A' CIALANGHE

Dall'aprile del 1955, in casa e per unica compagnia, ho un gatto; mi fu regalato, allorché contava appena un mese di età.
Malgrado i non pochi difetti, tra i quali, sorprendente, è quello della voracità, gli devo essere grato per vari motivi, sopra tutto per la pulizia, che, principalmente, mi ha dato la pazienza di sopportarlo così lungamente.
Non ha alcun requisito speciale; non è un Angora, persiano, siamese o di altra razza pregiata; è un comune esemplare di felino domestico, come da noi sempre ce ne sono stati tanti e come ancora s'incontrano nelle vecchie case, nelle quali non se ne può fare di meno, se non si vuol vivere in compagnia dei topi. Di essi mi resta incancellabile il ricordo del triste spettacolo di fame e di sete che - randagi - offrivano, per le vie cittadine, nell'estate del '43, allorché i « liberatori» vomitarono su di noi tonnellate di fuoco.
Alla pari di tante belle e brutte cose della vita, tra i miei ricordi infantili, c'è, a tal proposito, anche quello di un certo «Ntonio u ngappagatte », veniva ogni settimana da un Comune vicino della nostra provincia, che non nomino, perché i miei concittadini chiamavano quegli abitanti « magnagatti ».
Antonio era un uomo alto e corpulento, sempre fornito di un sacco di tela, in cui poneva i gatti che acquistava per dieci o dodici soldi al grido di «chi vole venne na gattee ». Quale precursore di «Tarzan» nessun animale resistiva alla morsa delle sue mani. I gatti, dei quali le massaie si disfacevano, avevano i difetti di essere sporcaccioni, deboli cacciatori di topi, famelici; alla pari del mio, ma di leccornie perché solo pane o scarsamente condito, mai l'ha voluto mangiare.
Nei vecchi tempi l'insaziabilità dei gatti era attribuita alla «cialanghe », parificata alla tenia, con la differenza che mentre di questa si può guarire, della prima, secondo la credenza popolare, non si poteva liberare se non si provvedeva opportunamente in tempo. Il provvedimento era quello di accorciare la coda, il che recava anche il beneficio di vedere migliorare le fattezze dell'animale, dato - alla pari della castrazione - il suo ingrassamento.
Allo scopo di evitare che fosse meno dolorosa e possibilmente letale, all'« operazione chirurgica» senza anestesia, si procedeva nel seguente modo: qualche settimana dopo la nascita del micino, uno dei cocchieri padronali, specializzati nella materia, con un morso recideva le ultime vertebre, alle quali restava attaccato un filo bianco di midollo spinale, ritenuto la « cialanghe » alla quale la voce popolare attribuiva la smodata insaziabilità e lo scarso sviluppo.
Molti sono - oggi - i cittadini che non vi prestano più credito, anche perché gli «operatori» specialisti sono scomparsi a causa dello sviluppo automobilistico che ha eliminato le carrozze signorili, motivo per cui molta gente ignora questo particolare della locale storia felina.
A contestare la mia incredulità restano però le spiccate qualità del mio «compagno» domestico: insaziabilità, coda lunga, magrezza.
Avviso, dunque, agli «amici» dei gatti, prima di portarli in casa!

Vecchia Foggia, vol. 5, Stab. Tipolitografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1965

« A’ FREVELE »

Come ho accennato, la frevele forniva la materia prima per una forma di contabilità senza carta, né calamaio, nè penna, ma serviva pure:
l) a confezionare un tipo di piccola panca, denominata ferlizza, molto in uso nelle aziende rurali e vista pure, in qualche casa del Borgo Croci;
2) fino a qualche decennio fa di un pezzo di frevele lungo poco meno di un metro, erano forniti quasi tutti gli insegnanti elementari; se ne servivano per minacciare gli allievi irrequieti o castigarli colpendoli sulle parti molli del corpo.
La frevele, per la particolare leggerezza si preferiva al bastone di legno, perché non poteva causare la minima lesione, procurava poco dolore e non v'erano preoccupazioni di ecchimosi;
3) della metà di un piccolo pezzo di frevele, cosparsa di olio, si serve ancora qualche barbiere anziano per passarvi sopra, varie volte, Ia lama del rasoio e addolcirne il taglio. Non ha, però, un nome particolare, ma quello dialettale di "strappe".

Vecchia Foggia, vol. 5, Stab. Tipolitografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1965

51 - 100

101) Chi rengrazie esce da obbleghe 
chi ringrazia si disobbliga. 

102) Nen'agghie misse ancore a chiave sott'a porte; 
non ancora ho messo la chiave sotto la porta. 

103) Vole caccià u zuche d'a la prete; 
vuole ricavare il succo dalla pietra.
 
104) « Pover'a me» decije presutte quanne se vedije miezze a tanta gatte; 
«povero me » disse prosciutto attorniato da tanti gatti. 

105) « E va bene » decije donna Lena quanne vedije a figghia prene;
« va bene » disse donna Lena nel vedere la figlia incinta.
 
106) Pozza j cum'e u male turnese; 
possa non trovare pace come la moneta di un tornese. 

107) Eja figghie a parecchie galantuomene; 
è figlio di parecchie persone perbene.
 
108) U picchie pure renne; 
il lamentarsi pure rende.

109) Mo s'arricche Criste cu Patre nostre; 
Cristo non si contenta del solo Pater noster. 

110) Chi fume eja guappe; chi mazzeche eja puorche, chi pezzecheje eja galantome; 
chi fuma è guappo, chi mastica è sporcaccione, chi pizzica è persona perbene.
 
111) A Sant'Anna ca vene; 
« a Sant' Anna che viene » era l'annuale promessa di colui che mai pagava il fitto dell'abitazione.
 
112) Tene i stabbele rempette a favugne; 
tiene i fabbricati rimpetto al vento di favonio.
 
113) Muzzecheje u detille; 
mordi il dito mignolo.
 
114) Passe l'Angele e dice ammen; 
passa l'Angelo e dice Amen.
 
115) Giancalasse magne, veve e vace a spasse ; 
Giancalasse mangia, beve e va a spasso.
 
116) Nen cose, nen file e nen tesse; 
non cuce, non fila e non tesse.

117) Tene a code de pagghie; 
tiene la coda di paglia. 

118) Uppele du stesse legname; 
turacciolo dello stesso legno. 

119) Faceve sta recotte de fume; 
faceva la ricotta puzzolente di fumo. 

120) Eja rotte a mezza canne; 
si è smessa ogni misura nelle azioni. 

121) Nen tene manche l'acque ind'a sarole; 
non tiene nemmeno l'acqua nel recipiente di riserva. 

122) Ce manchene i megghie vuove da caravane; 
mancano i migliori buoi della mandria. 

123) Dicije buone D. Erneste ca « la moglie non si presta»; 
disse bene D. Ernesto che la moglie non si presta. 

124) Eja munne dicije Giasacche; 
è mondo disse Giasacche. 

125) Ave perze i vacche e vace truvanne i corne; 
ha perduto le vacche e va in cerca delle corna. 

126) Ce vole a zingare p'adduvenà a venture; 
occorre la zingara per indovinare la fortuna. 

127) Mò cache u prime fasciature; 
il lattante ha sporcato il primo pannolino. 

128) Si l'avecelle canuscesse u grane nen ce ne starrìe grane pe la campagne ; 
se l'uccello conoscesse il grano in campagna non n'esisterebbe.

Omissis
PROVERBI E MODI DI DIRE
(v. Vecchia Foggia: quarto vol.)

1) Chi paghe annante eje malamente servite; 
chi paga un  lavoro  anticipatamente  non  è  servito bene.

2) Se magnarrìe pure li prete; 
stomaco forte in grado di digerire anche i sassi.  

3) Eja campane rotte, campe assaie; 
malgrado i malanni avrà vita lunga.  

4) Stace avete de tele; 
è insuperbito e non  dà ascolto.  

5 ) Mò pe la ragge se face ascenne a panarella; 
è irritato al punto di provocare la fuoruscita dell'ernia. 

6) I vase nen fanne pertuse; 
i baci non fanno fori, nè lasciano segni. 

7) Ave terate ù spacche; 
da un'informazione ricevuta ha tratto le possibili conseguenze. 

8) Nenn' i vace ù pile a castore; 
i fatti non si svolgono secondo i propri desideri.

9) Stanne sempe cum'e panarizze abbuttate; 
sono sempre di cattivo umore ugualmente a paterecci gonfi di pus. 

10) Stanne tutt'i porte aperte; 
è quando spira vento forte da tutti i lati. 

11) Ce l'hanne fatt' a vedè cù cannucchiale de longa viste; 
è quando un dato oggetto si è fatto appena vedere. 

12) A'vi, mò se sparte cu figghie suje; 
la vedi adesso si divide da suo figlio. 
Nel pomeriggio di venerdì della settimana Santa si svolge un'antichissima ed ordinata processione alla quale partecipano la statua della Madonna Addolorata che precede la fastosa aurea urna del Cristo morto, recata dai confratelli della Chiesa del Sacramento. Terminato il percorso il corteo si scioglie in piazza Cattedrale; allorché la Madonna si allontana per ritornare nella sua Chiesa, i popolani pronunziando parole di compassione per i dolori della Vergine, piangendo, gridavano: « la vì, la vì vace annante e rete ca nen vole lassà ù figghie suje » la vedi, va avanti e indietro, perché non vuole lasciare suo figlio. 

13) S'ej' avezate scaveze starnatine; 
chi di buon mattino appena messe le calze, fa già colazione. 

14) A chiagne ù muorte sonde lagreme perze; 
a piangere il morto sono lacrime perdute. 

15) U candre quante cchiù ù revuote cchiù fete; 
il vaso degli escrementi quanto più lo agiti più puzza; cioè delle cose dannose si deve parlare il meno possibile.

16) Tene a code; 
chi ha delle colpe da scontare; chi lascia l'uscio aperto mentre nell'entrare l'ha trovato chiuso. 

17) Sa tene a quella là; 
indica chi mantiene illegalmente una donna. 

18) Se l'ave misse sottipiede; 
non avere cura di un dato oggetto, come di un abito. 

19) Ngrazianne a Die e che la facce pe nterre; 
ringraziando Dio inginocchioni e con la faccia per terra.
 
20) I ciucce a rocchie, i fesse a cocchie; 
i somari a mandre, gli stolti a coppie. 

21) Pasqua mbosse gregna grosse; 
la festa di Pasqua con la pioggia, augura raccolto abbondante. 

22) Accatte a gatte int'ù sacche ; 
comperare un oggetto senza vederlo. 

23) I parole sonde cum'e i cerase, ne vaje pe tirà une se ne venene l'avete appriesse;
le parole sono come le ciliege, una tira le altre. 

24) Face parte e matalene; 
fa il doppio gioco. 

25) Tene ù cavete a quill'ù sruvizie; 
chi si alleggerisce di abiti prima dell'estate. 

26) Ne rusce e ne musce; 
apatico, indolente. 

27) Quille fete cchiù d'u cemece ; 
puzza più del cimice. 

28) Eje nù tezzone de nfierne; 
è un tizzo d'inferno.

29) Pe canosce a gente te magnà nsieme apprime nù mare de sale ; 
per conoscere le persone devi mangiare con loro prima un mare di sale. 

30) Ave jucate de code; 
ha giocato con l'inganno. 

31) I fete ù campà; 
va provocando le persone e gli è di peso la vita. 

32) Nen se ne pozza truvà une pe regne; 
essere maligno e nocivo che per ogni stato non se ne dovrebbe trovare uno. 

33) Chi grosse la face addevente priore; 
chi compie atti notevoli diventa persona importante. 

34) Chi vole vace e chi nen vole manne ; 
chi vuole ottenere il proprio interesse agisca personalmente; chi si disinteressa incarichi altro. 

35) I fesse stanne a pane e acque; 
gl'inetti, gl'indolenti non possono avere fortuna. 

36) Se ne fuje da ncuolle ; 
è quando un indumento non va bene alla persona e sembra che scappi d'addosso.
 
37) Tene a fertune appezzecate; 
perseguitato dalla iella. 

38) Parle sempe a pungecà; 
è sempre pungente quando parla. 

39) Tene a mosche addrete; 
chi non stà mai fermo e dà molestia. 

40) Haje truvate ù core a chiagne; 
hai proprio trovato chi piange per te; è chi non si addolora dei guai degli altri. 

41) Vuoie esse respettate? cacce i diente da fore; 
vuoi rispetto, essere temuto? mostra i denti.

42) S'ave fatte ù liette nnanze; 
prima di essere interrogato su responsabilità personali ha cercato giustificarsi. 

43) Eja tutte ponte e tacche; 
cammina in punta di piedi; è tutto delicatezze. 

44) Haje fatte st'accatte; 
giudizio su di un cattivo acquisto. 

45) U' segrete de pulecenelle; 
notizia riservata fatta invece sapere a parecchi. 

46) Pare na papera sparate; 
cammina dondolandosi come un'oca ferita. 

47) L'agghia abbuttà li garze; 
devo gonfiargli le gote con gli schiaffi. 

48) L'agghia pegghià ncastagne; 
sorprendere sul fatto. 

49) Viate a chi te vede e felice a chi te gode; 
complimenti ad una persona che non si vede da molto tempo. 

50) L' agghie fatte cavaliere; 
è quando il cacciatore trova la lepre o la volpe dormendo nel nido « jazze ».
 
51) Quiste eja vulije de cavele musce; 
desiderio di cavolo appassito; cioè di cosa non realizzabile. 

52) Me sapisse addice a cagne a chè? 
mi sapresti spiegare a quale scopo? 

53) I denare vanne a diece lire ù chile; 
quando le monete di rame si coniavano da centesimi uno, due, cinque e dieci (queste ultime due avevano il valore di un soldo e due) e i commercianti, di queste ultime, ne disponevano abbastanza avevano l'abitudine di arrotolarle nelle quantità di cento e cinquanta; nei pagamenti invece di stare a contare le monete ponevano i rotoli sulla bilancia, dovendo rispondere all'esatto peso di mezzo chilo (da Lire cinque) e un chilo (da Lire dieci). 

54) Nen sia maje pe ngiurie; 
mai sia per offesa. 

55) Pe na meserie s'ave cacate la facce; 
s'è colmato di vergogna per cosa da poco. 

56) Salute e figghie mascule; 
dopo lo starnuto si augura buona salute e figli maschi. 

57) Crisce sante ca diavele già ce sinte; 
dopo lo starnuto si augura la santità, perché si è già diavoli. 

58) Tenghe nù poche nnante pe nnante; 
piccola scorta di denaro o provvigioni per tirare avanti la vita. 

59) Eja figghie da male nuttate; 
giovane partorito laboriosamente di notte: passaguai. 

60) Tene ù mele a la vocche e ù rasule a li mane; 
persona ammodo, ma energica. 

61) Eja franche de ceremonie; 
persona che fa pochi complimenti e non transige. 

62) Stà facce de stuvale; 
viso lungo alla pari di uno stivale. 

63) Pozz'avè la funa nganne; 
da meritare il capestro. 

64) S'eja menate a' dduvenà; 
ha cercato d'indovinare.
 
65) Purifiche matrifiche e face zumbà pure la scorze; 
quando un cibo o una bevanda riesce gradita.

66) A cavalle gastemate i luce u pile; 
a cavallo maltrattato gli luce il pelo. 

67) Morta desiderate nen vene maje; 
la morte che si desidera ritarda a venire. 

68) Da na recchie i trase e da l'ate senn'esce; 
fa finta di non sentire.
 
69) Tenghe sti quatte ranelle pe campà a la jurnate; 
ho pochi risparmi coi quali vivo alla giornata. 

70) Ave fatte sticche e tutte ù mie; 
ha pensato egoisticamente. 

71) V'accuntà a legge a lu sbirre; 
l'agente non accetta scuse per nessun motivo. 

72) Quà avima ji cuonce cuonce; 
qui dobbiamo camminare piano piano. 

73) Assemegghie a nà renele sparate; 
rassomiglia ad una rondine uccisa che prima di cadere a terra va per aria a destra e sinistra. 

74) Addà vedè ù sole quann'esce e la lune quanne trase; 
persona sottoposta a privazioni di ogni sorta, specialmente nel cibo.
 
75) Quanne me vede a lù strette partite; 
quando sono arrivato agli estremi. 

76) A tutt'i pulece i vene a tosse; 
è quando un'iniziativa che dovrebbe restare in un campo ristretto, trova -invece - molti imitatori. 

77) Penze schitte a mette a lu pizze; 
risparmia soltanto per mettere da parte. 

78) Parle quanne pisce ù galle; 
taci, parla solo quando orina il gallo. 

79) Fuje acque ca stutaie ù fuoche; 
fu il mezzo per far cessare ogni cosa.

80) L'hanne pegghiate a cacagnutte; 
è stato messo in ridicolo. 

81) Videne la fine! 
si prevede cattiva fine per un tipaccio. 

82) Spacche e pise; 
borioso, dà ordinazioni senza curarsi della spesa. 

83) Eja tutte lasceme stà; 
si dà delle arie.
 
84) Staje frische, frische; 
detto in segno di minaccia

85) Se ne vene cù si be molle ; 
posa piano che fa tutto con comodo e senza fretta. 

86) Quanne nascije nen ce stevane a gente; 
tipo sfortunato la cui nascita non fu rilevata da alcuno. 

87) Pe nù mazze de petrusine guaste na menestre; 
per poche foglie di prezzemolo guasta una minestra. 

88) Stà facce de vomere; 
questa faccia di vomere. 

89) Sonne e pisce ù liette ; 
sogna desideri inappagabili. 

90) Nenn'eje acque ca mbonne; 
pioggerella che non fa danno. 

91) Luvame ù cane e luvame à ragge; 
togliamo il male dalla radice. 

92) Nen ce pozze venì da sope; 
non arrivare a persuadere o correggere una persona. 

93) Chi la vole cotte e chi la vole crude; 
opposti pareri. 

94) I vene se sond'anghiute troppe subbete; 
i facili arricchiti che hanno riempito le vene molto presto.

95) S'eja feccate dinte de belle genie; 
è entrato prepotentemente. 

96) Magne a fucòne scuvierte ; 
il «fucòne» è un grossolano braciere di mattoni rivestito di legno, usato ancora in qualche vecchia azienda agraria - scoperciato consuma combustibile in grande quantità. Il detto riguarda gl'insaziabili di cibi e di benefici. 

97) Eje nù tezzòne de nfierne; 
persona cattiva parificabile ad un tizzo infernale. 

98) Stanne porte a porte; 
sono vicini di abitazione. 

99) Sonde ù nase e la vocche; 
indica vicinanza di abitazioni, d'interessi, di occupazione, pari a quella del naso e la bocca. 

100) Vid'a Biase ca sule la morte l'eja rumase; 
vedi Biagio al quale è rimasta la sola morte.

LA TESSERA DEL PANE

In questa raccolta di vecchi ricordi locali, penso non riuscirà superfluo farne conoscere qualcuno di data più recente; ad esempio il seguente riguardante l'ultima guerra mondiale che - certamente - andrebbe dimenticato.
Qualche mese dopo lo scoppio delle ostilità – se ben ricordo - il Governo istituì la tessera per gli alimenti ed altri generi di consumo. Il provvedimento, che limitava il pane e la pasta ad una razione non soddisfacente alle popolazioni meridionali, non poteva essere troppo risentito nella nostra provincia - da secoli grande produttrice di cereali - perchè ogni famiglia aveva possibilità di approvvigionarsi di grano a mezzo di parenti ed amici agricoltori, oppure acquistarlo di contrabbando alla cosidetta « borsa nera ».
In quanto all'impossibilità di portarlo al mulino si provvedeva in casa col macinino del caffè - dato che della droga non trovandosene più sul mercato – non se ne faceva uso. Ond'è che la massaia tra un giro di manovella e la cottura clandestina di una pagnotta di pane, cantava sottovoce (le spie dell'O.V.R.A. vigilavano): « V'i c'ave fatte Muselline, ogn'e case eja nù muline » (*)
(*) «Vedi che cosa ha fatto Mussolini - ogni casa è diventata un mulino ».

Vecchia Foggia, vol. 5, Stab. Tipolitografico cav. Luigi Cappetta & Figli, Foggia 1965

Articoli pubblicati su Il Foglietto - Giornale della Daunia

Arturo Oreste Bucci
Vecchia Foggia
I giuochi della strada

I nostri ragazzi, che passano la maggior parte della giornata sulla strada, non conoscono, per divertimento, che il giuoco del calcio.
Attratti da questa sorta di svago non ne concepiscono altri; tanto che in ogni piazza, via o cantuccio della città si vedono gruppi di monelli - indifferenti al passaggio di veicoli e pedoni - che si accapigliano, si pestano per spingere, coi piedi, una palla.
Forse perchè tanti di logo già sognano di diventare, un giorno, il portiere della Squadra A, l'allenatore della B, o addirittura arbitro. Fantasticherie giustificate da questa specie di morbo che ha colpito l'umanità.
Fatta questa premessa, riprendiamo la nostra cronistoria, riguardante vita e costumi cittadini di oltre mezzo secolo fa, per elencare, oggi, i giuochi che si svolgevano sulle strade.

* * *

Un negozio attrezzatissimo, in cui si trovano curli (trottole) do ogni specie, con le relative zagaglie (cordicella lunga circa due metri), era quello di Petrone, in fondo a Via Arpi, prossimo a Porta Grande, ove i ragazzi venivano appagati in tutti i loro desideri, poichè potevano scegliere cascine (testa di legno) di ogni dimensione.
« Officina » di allestimento e di arrotatura degli spentoni (punteruoli) era via S. Giuseppe, ove un permanente rigagnolo del lastricato, dirimpetto al palazzo Barone, ne permetteva la molatura.
Non appena gli spentoni raggiungevano la perfezione, i curli erano lanciati per la prova, fra l'entusiasmo dei ragazzi che gridavano - guarda, guarda, va leggero come una piuma!
Terminata la prova cominciava la gara delle spentonate, che erano accompagnate dalle seguenti parole: un'è une acch'i prume, a fic' ammaturate, u puntelluse agghi' a dà (uno e poi un altro colpo, cerca la prugne - cioè preparati a prenderle - il fico è maturo, il puntelluso devo dare bastonate; rappresentate dai fori del punteruolo sulla testa di legno della trottola).
Durante le intere giornate estive, nella detta via S. Giuseppe, si vedevano lunghe file di ragazzi curvi per terra, intenti al lavoro di molatura dei punteruoli.
Altro giuoco che deliziava piccoli e grandi era il lancio della cometa (aquilone); se ne confezionavano di tutte le misure e di ogni colore; quelle innalzate di sera portavano il fanalino in coda.
Col vento favorevole, si dava la massima quantità di filo per vederla altissima, tra la meraviglia dei ragazzi, i quali giuravano che la cometa aveva raggiunto le nuvole tanto vero che quando si abbassava, correvano a toccarla per sentire se fosse bagnata.
Non appena apparivano sui mercati cittadini le albicocche cominciava il giuoco dei castelli coi nocciuoli; che d'inverno - specie nei borghi Croci, Gesù e Maria, S. Stefano - si svolgeva con e mandorle e vi partecipavano anche, molte forosette.
Quello dello sticco, per cui si adoperavano le voche (pezzi di mattone o ciottoli piatti e bene levigati che qualche gocatore conservava gelosamente) era anche frequente. Si poneva per terra, qualche bersaglio, un mezzo mattone in piedi - chiamato lo sticco - e dietro lo stesso si depositava la posta della partita, costituita da qualche soldino o da bottoni. Lanciando la voca, che doveva strisciare per terra, il giocatore cercando di colpire il bersaglio, gridava sticch'è tutt'u mie, per significare che vincendo il premio era tutto suo.
Testa e croce, con le monete metalliche, come le bocce erano giuochi praticati più dagli adulti che dai ragazzi; i quali preferivano l'azzeccamure, cioè sbattere una monetina o un bottone contro il muro per vederlo cadere il più lontano possibile.
Assai praticato era quello di mazz'è pustiche, che qualche volta ancora si vede; come pure a cavalle luonghe che si svolgeva nel seguente modo: tra un gruppo di ragazzi si sorteggiava quello che, per primo, doveva curvarsi per far saltare sulla propria schiena, i compagni.
Quando, uno alla volta, si saltava - spesso con un fazzoletto fra le mani - bisognava gridare anghianator'è monte, ce mett'a selle e po ce passe (sulla salita del monte, metto la sella al cavallo e passo). Il fazzoletto si doveva lasciare, durante il salto, sulla schiena del compagno. Chi sbagliava passava al posto del compagno curvato.
V'era poi a mucciacone, cioè nascondersi in vari posti delle vie vicine a quella ove si svolgeva il giuoco e farsi scovrire, dopo avere gridato ai compagni: venite. Il boschetto comunale era il sito preferito dai quindicenni, i quali per la loro età non destavano soverchie preoccupazioni nelle famiglie, se si allontanavano dai pressi della loro abitazione. 
I piccoli irrequieti giocatori rappresentavano la quotidiana disperazione del vecchio guardiano, il calabrese Francesco.
Con questo giuoco si abbinava quello di nierchio, in cui i manchevoli venivano puniti con tanti colpi sulla schiena, dati con un fazzoletto attorcigliato ed annodato.
Tic, tac e funtane si giuocava coi bottoni. Dopo avere tracciato sul lastricato, col gesso, un lungo rettangolo, diviso in varie sezioni, si buttava un bottone nel primo settore; il giocatore reggendosi su di una gamba doveva spingerlo, con la punta del piede - se arrivava fino alla campana (termine del rettangolo) la partita era vinta; se, invece, il bottone usciva fuori dei limiti tracciati, oppure il giocatore metteva - sia pure per un attimo a terra la seconda gamba - la partita era perduta.
Un giuoco di massa, al quale partecipavano, principalmente, studenti dei primi anni delle scuole medie, artigiani e garzoni di bottega era quello di « briganti e soldati » che qualche volta, passando per le vie della periferia, vediamo fatto - con mezzi molto ridotti - da due o tre mocciosetti.
Negli ultimi decenni del passato secolo esistivano due « bande di briganti » alle porte della città - rinnovantesi, di anno in anno, negli effettivi - che davano « filo da torcere» ai « corpi armati dello Stato », per cui si organizzavano delle vere « battute».
Uno dei campi d'azione era nei pressi della ciammaruca - un fossato del parco Pila e Croce, occupato oggi dal Deposito stalloni. Nel pomeriggio si svolgevano « aspri combattimenti » con « arresti e ferimenti » dei briganti, dato che i « rappresentanti della Legge » mai riportavano sconfitte. 
Un giuoco di massa, al quale partecipavano, principalmente, studenti dei primi anni delle scuole medie, artigiani e garzoni di bottega era quello di « briganti e soldati » che qualche volta, passando per le vie della periferia, vediamo fatto - con mezzi molto ridotti - da due o tre mocciosetti.
Negli ultimi decenni del passato secolo esistivano due « bande di briganti » alle porte della città - rinnovantesi, di anno in anno, negli effettivi - che davano « filo da torcere» ai « corpi armati dello Stato », per cui si organizzavano delle vere « battute».
Uno dei campi d'azione era nei pressi della ciammaruca - un fossato del parco Pila e Croce, occupato oggi dal Deposito stalloni. Nel pomeriggio si svolgevano « aspri combattimenti » con « arresti e ferimenti » dei briganti, dato che i « rappresentanti della Legge » mai riportavano sconfitte.
Ma dove il « brigantaggio » per la quantità degli affiliavi, opponeva veramente resistenza, era nei pressi del Cimitero. Si trattava di un centinaio di « malandrini » contro una eguale forza di « militi ». 
I « briganti » avevano praticato una breccia in un muro dell'antica ed abbandonata Chiesa di San Lazzaro - ora scomparsa - ed erano scesi nella cripta. Da questo fortilizio, attraverso feritoie, spiavano l'arrivo ed i movimenti delle « forze armate » ed al momento opportuno, uscivano all'aperto, muovendo all'attacco. 
In tal modo, ogni giorno, la zona antistante il Cimitero era teatro di lotte « cruente ».
Però al tramonto cessavano le « ostilità »; i « malandrini » e le « forze armate » smettevano la « guerra » per riprenderla il giorno dopo e ritornavano in città, fraternamente indrappellati, cantando le canzonette in voga.
In quei tempi, non appena suonava l'Ave Maria, i giovani rincasavano tutti: gli studenti per riprendere i libri, gli artigiani per cenare e andare a letto.
Col modernismo ogni cosa è cambiata ed agli svariati giuochi di una volta - alcuni dei quali abbiamo succintamente rievocati - non si assiste più; però, a notte inoltrata, vi sono ancora sulla strada, dei monelli che coi piedi spingono una palla - magari fatta di cenci - o un barattolo vuoto di marmellata.

A. ORESTE BUCCI

da Il Foglietto - Giornale della Daunia - 18 ottobre 1951