Ugo Iarussi
I TERRAZZANI E LA "FOGGIANITÀ"
A) PREMESSA
Con molta insistenza, in questi ultimi tempi, da più parti ed in modo speciale dal Cenacolo Culturale "Contardo Ferrini", si chiede che il Comune di Foggia acquisti qualche fabbricato di Borgo Croci, in piazza dell'Olmo, per lasciare ai posteri il ricordo della "casa tipo" del terrazzano. Borgo Croci è un vecchio rione della città; certamente il più povero, urbanisticamente il più sconclusionato ed igienicamente ancora molto discutibile. È un quartiere che non si presta a razionali risanamenti e che avrebbe bisogno di una totale demolizione. È vero che oggi l'urbanistica moderna parla anche di recuperi della periferia. Ma si tratta di recuperi sociali più che ambientali. Di recuperi che mirano a conservare una periferia certamente accettabile come ambiente architettonico, ma non sufficientemente assistita sul piano umano (servizi sociali deficienti o assenti del tutto), creando così gravi disagi per le popolazioni residenti. Borgo Croci, invece, è una periferia che non può essere accettata nemmeno sul piano architettonico perché esprime solo miseria ed occasionalità.
B) UNA SITUAZIONE VERGOGNOSA
Si è detto che conservare un poco di Borgo Croci servirebbe a documentare, attraverso i caratteri della sua casa, la figura sociale di un personaggio che, in un modo palese e prepotente, è appartenuto al nostro passato storico. Ma questo non è del tutto vero. Il terrazzano appartenne al nostro passato storico non come personaggio importante, ma solo in chiave negativa e di vergognosa realtà. Vergognosa per la classe dirigente che per secoli non seppe capire il valore umano, che con la emarginazione del terrazzano si perdeva. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto precisiamo che il terrazzano non rappresentava l'espressione di un preciso ceto foggiano. Il terrazzano era solo uno sbandato, dalla vocazione contadina, ma che non aveva terra, non trovava lavoro continuativo, non poteva coltivare campi, perché l'agro del Tavoliere in nessun modo e nemmeno in minima parte veniva mai sottratto agli usi ed alla disciplina del pascolo. Infatti, persino le estensioni destinate a seminativi, per l'incremento granario dello Stato, erano soggette a speciali "rotazioni" ed a particolari controlli da parte dell'Amministrazione della "Dogana delle pecore". In queste condizioni i terreni agricoli non potevano essere trasformati; venivano quindi condotti a colture estensive su latifondi di provenienza feudale o protetti da particolari privilegi doganali. Si realizzavano, così, condizioni agrarie che non potevano dare lavoro continuativo al contadino, né permettevano la formazione, tra essi, di qualificazioni specializzate e di operai agricoli dediti solo e sempre ai lavori della campagna. Lo sbandamento del terrazzano è il segno manifesto delle gravi conseguenze sociali, che da uno stato di cose come quello sopra descritto non potevano non derivare. Subito dopo la primavera, una volta partite le pecore, che abbandonavano i pascoli di Puglia per i più freschi siti montani d'Abruzzo, solo durante i mesi caldi della lunga estate, il terrazzano trovava qualche "rimedio" per risolvere i suoi problemi di sopravvivenza, sfruttando abusivamente i prodotti spontanei dei "maggesi"; prodotti dei quali praticava anche il commercio; i più arditi coltivavano illegalmente qualche piccolo orto che, spesso dovevano abbandonare o distruggere d'urgenza, per non incorrere in provvedimenti penali. Laborioso e tenace, il terrazzano avrebbe meritato, fin dal principio, di essere incoraggiato e restituito al lavoro dei campi; invece è sempre stato guardato con diffidenza e disprezzo, mentre le terre incolte si appantanavano. Basta pensare a come li descrive Antonio Lo Re, in "Capitanata triste", per rendersi conto che anche uomini di cultura e di intelletto, letterati e ruralisti, non avevano ben messo a fuoco il fulcro vero di un grave problema socio-economico. Solo Gennaro Sauchelli, fin dal 1861, aveva intuito una possibilità di recupero umano, proponendo progetti per un'equa ripartizione di terre demaniali ai terrazzani e ad altri poveri del Tavoliere. I terreni demaniali (reali siti), una volta abolita la transumanza, vennero assegnati a ricchi allevatori, sicché l'emarginazione del terrazzano durò ancora per lunghissime generazioni. La sua vocazione andò sempre più affievolendosi; ben presto, da contadino potenziale e da forza produttiva recuperabile, egli divenne vagabondo ed avventuriero, dedito spesso anche al furto, al quale solo la fame lo costringeva. Questo perché, malgrado il grande mercato agricolo che nei cosiddetti "piani delle fosse" delle città del Tavoliere si svolgeva, in queste stesse città, e specie a Foggia, non si è mai avuta una vera e propria civiltà contadina. Ma fermiamoci all'esempio di Foggia. Attraverso pastorizia ed agricoltura la civiltà di Foggia si è sviluppata principalmente su vivaci basi commerciali. Di un mercato essenzialmente granario, che sviluppò commerci con Napoli, con la Toscana e la Lombardia, oltrecché (attraverso i porti di Manfredonia e di Barletta), con Venezia ed il vicino Oriente; tuttavia si trattava di commerci alimentati solo da vasti latifondi, condotti a monocultura, con criteri che conferivano alle conseguenti intraprese mercantili tutto il carattere di attività capitalistiche, tramite l'agricoltura. Si trattava, inoltre, di un capitalismo assoluto e crudele, che non lasciava speranze di sopravvivenza per chi ai suoi margini cadeva. Oggi, alla scomparsa figura del terrazzano non si può pensare con nostalgia, come se si guardasse alle radici della nostra civiltà, perché essi rappresentano, ormai, solo il ricordo di nostri gravi peccati, del nostro sopruso e del nostro egoismo. Non si può dire, infatti, che sia pure attraverso la loro emarginazione, i terrazzani in qualche modo abbiano agito od influito per la formazione di una "foggianità", ancora sensibile ai loro antichi insegnamenti.
C) L'ARCHITETTURA CONTADINA
Come già si è accennato, si potrebbe insistere sul concetto che, forse, proprio attraverso la loro grande miseria, i terrazzani rappresentano, comunque, una realtà storica. Ma si tratta di una realtà tanto consistente da obbligarci a conservare qualche campione delle loro misere capanne? Capanne o case veramente caratteristiche, tipizzate in qualche modo da particolari moduli, imposti da una cultura specifica e da abitudini o costumi altrettanto particolari? Io credo di no. La casa, infatti, in tutti i tempi, è sempre stata espressione di cultura e civiltà. Sono veramente molti gli esempi di case contadine che si possono fare in tutta Italia e nel resto del mondo. Per l'Italia, senza dubbio, la regione più caratteristica è la Puglia, dove lo sviluppo urbano ed architettonico delle città, ha quasi sempre avuto origine proprio dalle campagne e dalle relative civiltà contadine. In Puglia il contadino ha sempre avuto una grande sensibilità ed una naturale predisposizione per la costruzione della sua casa, che veniva eretta sul fondo da coltivare, col gusto e la grazia di una piccola opera d'arte. Ancora oggi, in Puglia, la casa del contadino costituisce motivo di grande interesse culturale, per le indagini sugli studi della cosiddetta architettura spontanea. Dalla casa singola all'agglomerato rurale e da questo al primo nucleo urbano, e quindi alla città, lo sviluppo di meravigliose architetture trovava terreno favorevole tra gente contadina, ma esperta e matura per passare dalla zappa allo squadro, dall'aratro allo scalpello e dal campo al cantiere. Il padre contadino aveva spesso figli muratori o protomastri e i protomastri diventavano facilmente architetti. Le civiltà contadine di Puglia sono state sempre ricche di cultura e di tradizioni nobilissime. Si può capire allora come da organizzazioni di case rurali, uniche al mondo, si possa sfociare in ambienti urbani veramente sviluppati a scala d'uomo, o nelle "esplosioni architettoniche" del barocco leccese. Ma principalmente si può capire come l'educazione dei singoli, il corretto comportamento sociale di essi, l'abitudine a rispettare leggi, regolamenti e consuetudini, portano all'uniformità di comportamenti familiari. Comportamenti che si esprimono in "case tipo", secondo schemi modulari e ripetuti di casa in casa. Schemi che hanno caratterizzato, in "quadri" sempre diversi, molte cittadine di Puglia. Possiamo qui ricordare, tanto per fare degli esempi, le "case a schiera" di Montesantangelo, le "loggette eoliche" di Sannicandro Garganico, "l'architettura rampante" delle case di Ischitella, le "case con alcove alla saracena" di Fasano, e così via, fino ad arrivare "allo sviluppo organico" dei caratteristici trulli della Valle d'Itria, di Locorotondo, di Martina Franca e di Alberobello. Nessuna possibilità, non dico d'arte, ma solo di tipizzazione edilizia, ha potuto invece sviluppare in modo "originario" ed "originale" la città di Foggia, nata nella desolazione del Tavoliere, dove transumanza, pastorizia e latifondo hanno sempre ostacolato una qualsiasi forma di insediamento umano nella campagna (1). I terrazzani non hanno mai avuto ospitalità nei latifondi del Tavoliere. Estraniati dalla campagna essi non sono mai diventati contadini, con cultura e tradizioni contadine; perciò non hanno mai potuto abitare in case di loro "invenzione"; case che questa cultura e queste tradizioni avrebbero potuto riflettere per trasmettere ai posteri un proprio poetico linguaggio.
D) LE CASE DI BORGO CROCI
Le architetture contadine sono rappresentate, in genere, da cellule tipo che si ripetono talvolta con uniformità esasperante, attraverso una modulazione ritmica, sempre dimensionata da misure le più corrispondenti a particolari abitudini ed a più particolari esigenze. Niente di tutto questo si può rilevare nelle case di Borgo Croci, a Foggia. Nei paesi e nei quartieri caratterizzati da architetture contadine, le "schiere edilizie" sono ordinate in strade perfettamente parallele tra di loro. Il parallelismo è conservato, a volte, anche quando andamenti curvilinei vengono obbligati dalla presenza di pendenze su balze collinari, creando effetti scenografici e pittoreschi. Al Borgo Croci, invece, non esistono parellele, non esistono allineamenti o larghezze costanti di vie e di intricati vicoli o vicoletti. Tutto concorre in particolari punti di smistamento, attraverso una logica che solo l'esempio di una ragnatela può dettare. Vie e vicoli hanno spesso andamento imbubiforme; lungi dal presentare tracciati paralleli tra di loro, di parallelo spesso non conservano nemmeno i prospetti dei due fronti opposti di una stessa casa. Slarghi e piazzette non corrispondono a motivi pensati per la determinazione di vantaggi viari od urbanistici, ma risultano derivati solo da fatti non previsti ed occasionali. Una così grande confusione si spiega facilmente quando si pensa che Borgo Croci è sorto sempre affrettatamente, a carattere di precarietà, ed in tre pressanti fasi successive, ad opera degli scampati dei grandi terremoti del 1456, 1534 e 1731. Le baracche non venivano costruite dalle autorità pubbliche ma dai singoli danneggiati, nell'anarchia più assoluta, sotto l'incubo della paura e della fretta di realizzare subito un ricovero, in sostituzione della casa perduta. Non c'erano tipi edilizi da rispettare, né allineamenti obbligati. Ognuno si sistemava dove poteva, rispettando appena i diritti già acquisiti dal confinante arrivato prima di lui. Sorsero così fronti edili di diverse misure, tutti a solo piano terreno, ma di altezze non livellate. I materiali impiegati erano i più vari, spesso di recupero e messi in opera con grave oltraggio alle più corrette regole dell'arte muraria. Il tutto in un disordine ancora oggi molto evidente, malgrado i successivi interventi per consolidamenti, modifiche e sopraelevazioni parziali. Un disordine che non si può capire se non si visita direttamente il borgo. Nessun messaggio, nessun segno di una particolare civiltà, nessuna espressione di tipiche organizzazioni sociali e famigliari ci può venire da queste povere case. Allora, perché conservarle? D'altra parte non si tratta di case costruite dai terrazzani, ma dai terrazzani solo utilizzate, una vola che vennero sgombrate dai costruttori, a mano a mano che essi potevano rientrare nei propri alloggi finalmente ripristinati. Le baracche non vennero demolite perché si prestarono ad una ignobile speculazione, ai danni della classe più misera della città. Ma non tutti i terrazzani si trasferirono a Borgo Croci. Molti continuarono a vivere in città, abitando con l'asino (unico patrimonio di famiglia) in grotte senza servizi di nessuna specie; grotte originariamente nate come depositi di paglia e subito trasformate in "case-stalle", per la realizzazione del modesto reddito che da una famiglia terrazzana si poteva cavare. Tristemente famoso è rimasto a Foggia il ricordo delle grötte di via degli Scopari, una fetida ed umida strada quasi tutta abitata dai terrazzani, dediti alla lavorazione dei giunchi di palude (2). In nessun tipo di case contadine c'è il rischio di trovare abitazioni senza cisterna o "piscina" per la provvista d'acqua piovana, raccolta dai tetti e convogliata da canalizzazioni soggette a particolari percorsi, tramite filtri e vaschette di decantazione, per bonificare l'acqua da detriti e terriccio di qualsiasi specie. Nelle "grotte" invece e nelle "case baracche" mancava qualsiasi tipo di approvvigionamento idrico. L'acqua veniva acquistata, ad un tanto a barile, da acquaioli ambulanti. Le grotte e le case di Borgo Croci, inoltre, non avevano servizi igienici, né focolare. Si usavano "vasi" per portare i rifiuti alle pubbliche discariche e si cucinava all'aperto, bruciando asfodeli tra due tufi, che servivano di appoggio alla pentola. Nelle case contadine, invece, non esistono esempi di cellule abitative prive di focolare, legnaia e, sia pure contenuti entro i forti spessori delle murature, di "sgabuzzini" per servizi igienici, generalmente collegati con pozzi neri singoli. Dalle grotte alle baracche provvisorie ed ai pagliai dei "pantanieri" i terrazzani non avevano un loro tipo specifico di casa, ma accettavano qualsiasi rifugio venisse loro offerto, purché garantisse un tetto per la notte (3). La conservazione di una "testimonianza" edile, scelta magari tra le case più belle, le più trasformate e le meglio conservate di Borgo Croci, potrebbe falsare i concetti di un capitolo di storia che va indagato con molto rigore sul piano sociale, invece che su quello architettonico. Ma se per caparbietà si volesse insistere nel presupposto più generico di conservare comunque una testimonianza di Borgo Croci, si potrebbe tentare di dirottare il discorso verso la necessità di conservazioni atte a documentare il flagello dei grandi terremoti che hanno afflitto la città di Foggia. Ma Foggia, dopo il 1731, ha subito ulteriori gravi distruzioni, in conseguenza dei bombardamenti del 1943. Finita la guerra, subito dopo l'armistizio, sorsero in periferia numerosi quartieri per baraccati. Questi nuovi quartieri, a carattere di provvisorietà specificatamente dichiarata, vennero eretti, con riferimento a disciplinate pianificazioni predisposte da autorità americane ed italiane. Al confronto di tali quartieri, spaziosi e spesso civettuoli, ben allineati e sempre serviti a sufficienza da acqua ed accessori igienico-sanitari, il disordine di Borgo Croci non può trovare elementi giustificativi di nessuna specie. Eppure, a mano a mano che la ricostruzione della città avanzava, i quartieri dei baraccati di guerra venivano soppressi, demoliti e sostituiti con nuove costruzioni. Non capisco quindi perché non si possano bonificare, con lo stesso criterio, baracche che risalgono al lontano 1456 e che, solo per essere di proprietà privata, si sono prestate ad una così lunga conservazione, attraverso numerosi passaggi di proprietà. Oggi, con la soppressione della "Dogana delle pecore" e col sopravvento delle leggi relative alle trasformazioni fondiarie, le attività agricole sono passate dalle culture estensive a quelle intensive. I terrazzani, assorbiti nella classe contadina, disciplinati da organizzazioni sindacali speciali, a poco a poco sono scomparsi. Le case di Borgo Croci, però, continuano ad essere fittate ai ceti meno fortunati della città; ceti poveri che in case ancora antigieniche, anguste, umide e fatiscenti devono continuare ad abitare. È questa la testimonianza che si vuole trasmettere ai posteri? Si vuole, cioè, documentare che per circa cinque secoli non siamo stati capaci di risorgere e di rinnovarci? E per documentare tanta miseria di spirito e di iniziative non basteranno atti di archivio, senza vincolare, con un angolo da tutelare illogicamente, lo sviluppo di un intero quartiere?
1 - Nemmeno i pastori, al seguito di greggi e mandrie transumanti, hanno mai costruito case nel Tavoliere. Di notte si rifugiavano in semplici pagliai, che venivano bruciati all'atto della partenza per i pascoli montani, per essere ricostruiti a nuovo, al momento del rientro sui pascoli di Puglia.
2 - Via degli Scopari a Foggia venne sventrata e soppressa in periodo fascista, all'epoca dell'apertura di via dell'Impero (1936/37), oggi via Dante Alighieri.
3 - I pantanieri erano terrazzani che operavano principalmente in zone palustri, dedicandosi alla caccia d'acqua, alla pesca di frodo ed alla raccolta di giunchi. Solo raramente i pantanieri riuscivano a recuperare i pagliai scampati agli incendi praticati dai pastori.
E) CONCLUSIONE
Concludo con interrogativi, perché, credo, non spetti a me dare risposte. Io ho solo espresso il mio parere; ho voluto però dimostrare che la "foggianità", se di "foggianità" si può parlare, non deve niente ai terrazzani. Tra l'altro, i terrazzani, sempre ad integrazione di negativi capitoli di storia, non costituiscono una presenza anomala solo tra la popolazione di,Foggia. Essi erano presenti anche, e sempre con la stessa caratteristica di gente emarginata, in tutte le altre città del Tavoliere soggette a vincoli doganali e, pertanto, a transumanza, pastorizia e ad agricoltura estensiva. Non ho niente contro i terrazzani, dei quali rispetto la paziente umanità e le sofferenze che per l'avidità altrui per secoli ebbero a soffrire. Non mi piace però il concetto di voler sfruttare oggi il ricordo del loro "folclore" per attribuire benemerenze storiche ad una città che, nei loro riguardi, di meriti non ne possiede. I terrazzani furono umiliati financo nel nome. "Terrazzano", nel medio evo, era detto l'abitante di un castello, di un borgo murato o di una città fortificata. Abitante che, durante gli assedi, combatteva sulle "terrazze" delle fortificazioni che proteggevano la sua patria, la casa della sua famiglia, la terra dei suoi figli. In seguito, col mutar dei tempi, il nome di terrazzano venne adottato per indicare semplicemente un "paesano", ovvero l'abitante di un piccolo borgo o di una frazione. È in quest'ultimo senso, certamente, che venne adottato per i paesi di Puglia il termine di "terrazzano". Per indicare, cioè, una classe di gente relegata in un quartiere periferico, o più che in un quartiere in un "ghetto" della città, perché di vera e propria ghettizzazione si trattava. Una ghettizzazione sempre presente, a Foggia come a San Severo ed a Cerignola fino ad Altamura, agli estremi limiti dei pascoli indicati dal Tabularium della Dogana, e comunque in tutte quelle città che registravano la presenza di questo strano fenomeno etnologico (4). E, per finire, credo che, non esistano motivi storicamente validi per salvare dalla bonifica del "santo piccone demolitore", sia pure in piccola parte, la vergogna di Borgo Croci. A nessuno, infatti, spetta il diritto di sollecitare tutele ambientali, che solo aberrate vedute sentimentali possono suggerire. A meno che, nel concetto di recupero delle periferie, durante lo studio del nuovo piano regolatore che Foggia da anni si attende, non per sentimenti istintivi ed estemporanei, ma come risultato di approfondite indagini storiche e sociali, agli specialisti incaricati della progettazione, non risulti di vantaggio per la città conservare anche case fatiscenti, antigieniche, disumane e veramente brutte, valide a documentare solo una nostra antica e persistente vergogna. Ma, indipendentemente dalla irrecuperabilità architettonica ed urbanistica di una periferia così compromessa, diverso è il concetto di "recupero umano" che per la bonifica di Borgo Croci si deve adottare. Una completa demolizione, per la cessione dei relativi suoli edificatori a costruttori privati, così come la situazione oggi si paventa, comporterebbe lo sgombero forzato ed il trasferimento in altro sito, con nuova e più grave emarginazione, delle popolazioni oggi residenti nel vecchio rione. Popolazioni che conservano abitudini, tradizioni e rapporti umani, tanti quanti per la gente di periferia significano forza morale e motivo di vita. La bonifica di Borgo Croci non vuol dire, quindi, grattacieli, case di lusso, speculazione edilizia. Non deve significare rinnovo ambientale ad oltranza, col rischio di ridurre a zero le aree di rispetto di antichi monumenti, come il complesso della "Chiesa delle Croci" e la più modesta chiesa di Sant'Anna; non deve mirare all'assorbimento di spazi pubblici, come piazza Corridoni, per l'incremento delle superfici utilizzabili a scopi mercantili. La bonifica di Borgo Croci, invece, deve significare ancora case per i "crocesi", non più terrazzani ormai, ma sempre legati a quelle inveterate abitudini, che vitali rioni della città possono radicare nell'animo umano. Case a misura d'uomo, a non più di un piano, con molti esempi a solo piano terreno; case ariose, igieniche, complete di tutti i servizi civili che la moderna civiltà può assicurare, ed ordinate in vie dal tracciato razionale, tra spazi liberi per gli incontri di piazza e zone verdi per la ricreazione dello spirito. In una parola, case finalmente umanizzate dal rispetto che il "pubblico potere" deve a quanti, riscattando la propria dignità, hanno finalmente diritto all'incontro con giorni migliori.
4 - Oggi col nome di Tavoliere si intende la parte piana della provincia di Foggia. All'epoca della transumanza, però, il Tavoliere arrivava anche in zone collinari, oltre Altamura, fin quasi al fiume Bradano, comprendendo così tutti i terreni di Puglia censiti ad uso di pascolo ed elencati nel "tabularium" (tavole censuarie) della Dogana. Il nome di Tavoliere può essere derivato dal termine dialettale "tabelliere", col quale veniva indicato il "tabularium" (da appunti e manoscritti inediti di Mario Grilli-Foggia).
Dicembre 1985
UGO IARUSSI
BIBLIOGRAFIA
1) DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ITALIANO della Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XII, Roma, 1961.
2) SAUL GRECO, Muri, volte e case di Puglia, Edizione Ist. Propaganda Internazionale, Milano, 1954.
3) UGO IARUSSI, Foggia: Sensibilità popolare e arti figurative, in "Rassegna di Studi Dauni", genn. 1980 - dic. 1981.
4) UGO IARUSSI, Trasformazioni paesaggistiche ed ambientali nel Tavoliere di Puglia, in "Continuità", Anno X, ottobre-dicembre 1976.
5) UGO IARUSSI, In difesa di un'architettura contadina di origine greca, in "Continuità", Anno XI, luglio-settembre 1977.
6) UGO IARUSSI, Fosse da grano e mercati granari in Capitanata, in "Gargano Studi Garganici", Anno VII, gennaio-dicembre 1984.
7) ANTONIO LO RE, Capitanata triste, Tip. Ed. "Scienza e diletto", Cerignola, 1896.
8) GIUSEPPE PIEMONTESE, Architettura rurale ed insediamenti r upestri del Gargano, in "Centro Studi Garganici", luglio 1980.
9) ANTONIO SAUCHELLI, La passata, l'attuale e la futura sorte del terrazzano di Foggia, Tip. di Giuseppe Ciampitti, Foggia, 1861.
10)GIORGIO SIMONCINI, Architettura contadina di Puglia, Vitali e Ghianda, editori, Genova.
11) M. SINISCALCHI, Idiotismi, voce "Terrazzano", Tip. Ed. "Scienza e diletto", Cerignola, 1896.
dalla Rivista "La Capitanata" edita dall'Amministrazione Provinciale di Foggia.