Amizio Contestabile

Amizio Contestabile ESCAPE='HTML'

Stevё na votё - ‘U vekkjё e ‘a vekkjё

Presentazione di Davide A. Leccese

Amizio Contestabile ha dato alle stampe la sua raccolta di poesie in “lingua nativa” (il foggiano) dal titolo < ‘U vekkjë e ‘a vekkjë > (Il vecchio e la vecchia). Ottimo sottotitolo è il riferimento, che lo stesso Autore fa, all’abitudine di una volta di raccontare, con approccio alla narrazione popolare, che era introdotta, a titolo di favola-parabola, con “Stevё na votё”.
Perché parlo di lingua nativa e non di dialetto o vernacolo? Perché intendo dare un’intonazione forte all’incarnazione del nostro modo di parlare delle abitudini, le storie liete e tristi, gli usi e i costumi che hanno caratterizzato la vita dei nostri nonni prima che fossero diluiti o inquinati da consuetudini verbali che i mass media ci hanno propinato, condannandoci all’inappartenenza non solo espressiva ma d’identità.
Il nostro dialetto, peraltro, si è solidificato su substrati napoletani, abruzzesi e su antichissimi depositi persino latini, greci e arabi. Segno, questo, della nostra genealogia: noi, figli di transeunti; noi, abituati ad accogliere; noi, comunque gelosi della nostra appartenenza autoctona ma insieme curiosi di tutti i flussi dei popoli che hanno attraversato la nostra storia e la nostra assolata terra. Anche alla poesia abbiamo affidato la memoria.
Ogni poesia è la narrazione di un fatto ma è insieme un rimando, spesso moraleggiante, qualche volta ironico, altre ancora è richiamo a un invito a regolare la propria vita. Ecco che allora la “parola” diventa “parabola”, diventa sì incentivo al ricordo di come si agiva un tempo ma anche di come – secondo un’etica sempiterna – ogni persona di buona volontà dovrebbe continuare ad agire perché il tempo non può e non deve cancellare quanto ci tramandarono i nostri antenati, come patrimonio di un vissuto, sedimentato nel terreno dell’onestà, della semplicità.
Perché scegliere la forma poetica per narrare vita che fu? Perché la poesia è la cadenza emotiva più prossima al battito del cuore, al sentire senza infingimenti e i trucchi dei discorsi d’occasione; perché la poesia disvela la coscienza e rimanda ai ricordi che, rintanati nella nostra memoria, riemergono dal flusso oggi superficiale di un esistere senza appartenenza, costretti a imitare gesti e parole sul “così si fa” e sul “così si dice”.
Amizio Contestabile dichiara che “La poesia è la boutique delle parole/emozione, un momento di felicità. L’uomo senza poesia, ricordatevelo/ è come un passero senza ali”.
Notate: Contestabile usa la parola “Boutique”. La lingua nativa non si arrocca nel vocabolario arcaico, non si sclerotizza su termini che rappresentavano gesti e luoghi che un tempo passato non frequentava. La lingua è viva, accompagna passo-passo il fluire dell’esistere e lo prende in prestito o inventa sull’oggi i suoi suoni e le sue icone espressive. A meno che la parola nuova, resa in cadenza foggiana, non tradisca la natura e la storia del personaggio descritto. Allora Amizio Contestabile ritorna alla parola di un tempo: (Lisettё ‘a vammànё), non può essere Lisetta l’ostetrica perché Lisetta faceva nascere in casa, viveva la gioia del primo vagito dei bambini appena nati – lei che figli non ne poteva avere – e non guardava al colore della pelle, per quei “figli della guerra”; era, ogni bambino, una “creatura”! E, per confermare questo prestito da altri dialetti e dalle lingue antiche, proprio la parola ‘a vammànё trova il suo appoggio nel napoletano e prima ancora nel greco “μμαμμαια” e dal tardo latino “mammana”.
La proverbialità: solo la poesia in lingua nativa ha saputo conservare la saggezza, diciamo anche la “filosofia” del popolo. Appare così il quadretto di un padre che ruba e porta a casa sua. Ora però, vecchio, continua pure a rubare ma ha condotto su quella strada del ladrocinio il figlio Andrea. Il padre ruba e il figlio trasporta, tira il carretto della refurtiva. “Talis pater, talis filius”, dicevano i latini. A Foggia si diceva: “e allorë sё portë apprissë ‘u figghjё Andrejë/ akkussì ‘u padrё arrobbë e ‘u fìgghjё karrejë.
Troverete, in queste poesie, la tenerezza accorata di ricordi che covano come brace sotto la cenere in chi di noi oramai può contare gli anni e non si arrende allo smemoramento. Ricordare non vuol dire solo testimoniare, rendere giustizia alla nostra “appartenenza”; vuol dire far rivivere alcuni personaggi e certi luoghi che, incrostati dal “di più” di questa società dei consumi, riemergono, riscattati, come carne viva, come eco affettuosa. E quello che oggi è propinata come “novità” alla moda, è riletto – per gli smemorati – come “tradizione”: maccheroni, rucola e patate ritornano sulle tavole contadine, nei piatti scheggiati e si riscattano dalla boria estetica della “nouvelle couisine” degli chef. Diventano “‘A bandìrë”, orgoglio del terrazzano e del crocese ospitale.
Rievocheremo allora, grazie alle poesie di Amizio Contestabile, Santino lo stagnaio, il cantiniere, lo scarparo con le scarpe rotte. Ricorderemo, rievocati da queste poesie, le carrozzelle e i cocchieri; uno schiocco di frusta, il passo lento e cadenzato del cavallo, i ragazzi che si attaccano dietro la carrozza.
Andremo, ancora una volta, come facciamo ogni anno almeno, al cimitero: chi va-chi viene, chi va per abitudine e chi va col magone e “Passë dopë passë, kjanë kjanë sopë a stu kavalkavìjë, strada facennë ‘u korë mejë ejë kjёnë dë malinkunìjë”.
E così, andando lentamente nella lettura di queste poesie, chi ha vissuto il passato rivivrà quanto ancora ricorda di quei tempi. A chi non ha vissuto quel passato si apriranno orizzonti di cieli antichi, di vie domestiche, di strade silenziose, rotte – a tratti – dal richiamo delle donne dei pianterreni che chiamano i figli, salutano i passanti. E a sera, in quelle sere in cui il favonio sfiorava i muri sgretolati di tante case della povera gente, chi non ha vissuto quelli anni, vedrà apparire – fantasmi ammalianti – quei nonni, i nostri nonni, che narreranno la vita di un tempo, come un tozzo di pane amaro, mangiato con rispetto, come solo sa chi la vita l’ha castigata vivendola, come ci ha detto, in una sua stupenda poesia, il poeta Vincenzo Cardarelli.

Davide A. Leccese

Poesie in dialetto foggiano

'A bandìrë
(makkarùnë arùkëlë e patànë)

Terrë rikkë dë solë
acquë ke a' votë nën avàstë
spighë biondë kum'e l'orë
kke sapòrë, è janghë 'a pastë.

'A patànë ind' 'a terrë... sottë
prutettë da ruvëda skorzë
sembë janghë, krudë o kottë
së tagghjë kë pokë sforzë.

Verdë ejë 'a rukolë, saporë fortë
a foglië' a foglië venë pëgghjàtë
në magnarrìsë nu sakkë e na sportë
ejë sapuritë purë si ejë tarlàtë.

K' 'u pumadorë ke vacë a kumblëtà
stacë 'u janghë, u verdë e 'u ruscë;
fannë nu piattë ke ejë na bondà
ejë 'a bandirë, subbëtë 'a kanuscë.

La bandiera (maccheroni rucola e patate) piatto tipico foggiano

Terra ricca di sole /acqua che a volte non basta
Spighe bionde come l'oro / che sapore, è bianca la pasta
La patata nella terra, sotto / protetta da ruvida scorza
Sempre bianca, cruda o cotta / si taglia con poco sforzo
Verde è la rucola, sapore forte / a foglia a foglia viene presa
Ne mangeresti un sacco e una sporta / è saporita pure se è tarlata
Col pomodoro che và a completare / c'è il bianco il verde e il rosso
Fanno un piatto che è una bontà / è la bandiera subito la riconosci.

dal libro “ Stevё na votё…​ U vekkjë e ‘a vekkjë”  (Federico II Edizioni), 2019

Proverbi foggiani

A’ tavëlë d’u povërillë nën manghë u’ stuzzarillë.